I femminicidi di donne incinte, lo stato crepuscolare e perché concedono il rito abbreviato
Quando una donna incinta viene uccisa, è procurato aborto o duplice omicidio? Lo stato crepuscolare nella difesa per omicidio e perché si concede il rito abbreviato.
Femminicidi di donne incinte
Jennifer Zacconi non è l’unica donna uccisa mentre era incinta. Abbiamo già raccontato di Anastasia Shakurova: la ragazza era di quattro mesi quando Stefano Perale l’ha ammazzata insieme al compagno, consapevole che aspettavano un figlio. Jennifer è stata uccisa insieme al suo bambino pronto a nascere perché il padre non lo voleva e non accettava le pretese, legittime, di lei. Più recentemente, ha scioccato la storia di Giulia Tramontano, anche lei come Zacconi quasi pronta a partorire. Il compagno l’ha uccisa perché aveva una storia parallela con un’altra donna e voleva sbarazzarsi di lei e del bambino. Anche Vanessa Ballan, che abbiamo ricordato su Instagram, è stata uccisa dal suo ex amante mentre era incinta.
Simile alla storia di Jennifer Zacconi c’è quella di Ana Maria Lacramioara Di Piazza, uccisa nel 2019 dall’uomo che, sposato, aveva timore che la loro storia venisse alla luce. Barbara Cicioni, invece, era stata soffocata nel suo letto incinta di otto mesi, mentre i suoi figli di 4 e 8 anni dormivano nella stanza accanto. Per la sua morte è stato condannato all’ergastolo il marito.
La gravidanza è di per sé uno stato che rende un omicidio femminicidio, così come riconosciuto dalle definizioni più comuni delle istituzioni internazionali. Ma nonostante questo, in Italia i dati non forniscono informazioni sul numero esatto delle donne incinte uccise. In questo report dell’Istat relativo agli omicidi compiuti in Italia nel 2022, si tiene conto del fenomeno dei femminicidi, si accenna al fatto che la gravidanza è una condizione che caratterizza i femminicidi, ma non si hanno numeri. La stima si potrebbe fare risalendo a ciascuno dei femminicidi riconosciuti nel 2022, andando a indagare quante di queste donne erano incinte. Se non vengono raccolti i dati esatti, è facilmente intuibile come quello che si può considerare un “sotto fenomeno” dei femminicidi non venga ancora studiato nella sua origine. Perché gli uomini uccidono le mogli, le amanti, in generale le donne incinte?
Negli Stati Uniti uno studio ha mostrato che le donne incinte o puerpere (entro l’anno dal parto) hanno più probabilità di essere uccise di quelle in età fertile: 3,62 femminicidi ogni 100.000 parti di bambini nati vivi (16% in più rispetto alle donne in età fertile, 3,12 ogni 100.000). Lo stesso studio ha concluso che l’omicidio durante la gravidanza o entro i 42 giorni dal parto è prevalente rispetto a tutte le altre cause di morte materna messe insieme.
Secondo questo documento elaborato dalla dottoressa Enrica Beringheli, psicologa specializzata in psicologia e psicopatologia perinatale e di violenza di genere, la gravidanza è spesso elemento scatenante della violenza domestica e più comunemente di genere, e il femminicidio è causa principale di mortalità materna, nel mondo, dopo le emorragie.
In sostanza, anche se in Italia non è possibile sapere con esattezza - a meno di non mettersi noi a contare cercando le informazioni, cosa che non escludo di fare per il 2024 - quante donne incinte vengono uccise ogni anno, possiamo concordare sul fatto che la gravidanza può aggravare una situazione già precaria o addirittura essere motivo scatenante del femminicidio. Ricostruire quante donne incinte vengono uccise sarebbe utile per poter dire perché vengono uccise. Gli uomini non vogliono assumersi responsabilità? La paternità è vissuta come un ostacolo alla propria felicità (un paradosso, se si pensa cosa significa per una madre, rispetto a un padre, diventare genitore in termini professionali, sociali, umani)? La donna diventa in qualche modo ripugnante per gli uomini? Non è più bella e disponibile e in forze come prima? Tutte supposizioni che non possono trovare, per ora, nessuna conferma.
Quello che è certo, è che essere incinta può mettere in pericolo, ancora di più.
Il ddl Ronzulli
È stato presentato un disegno di legge (ddl 756, Senatrice Ronzulli) per prevedere come reato autonomo l’omicidio di donna in stato di gravidanza, proponendo l’introduzione dell’articolo 575-bis dal seguente tenore “Chiunque cagiona la morte di una donna in stato di gravidanza è punito con la reclusione non inferiore ad anni trenta”
Il disegno di legge è stato presentato con questa introduzione:
ONOREVOLI SENATORI. – L’efferato omicidio, il 27 maggio 2023, di Giulia Tramontano, la giovane di 29 anni incinta al settimo mese uccisa a coltellate dal fidanzato, Alessandro Impagnatiello, richiama nuovamente l’attenzione sulla piaga del femminicidio. Quello di Giulia Tramontano è solo l’ultimo di una lunga serie di femminicidi nel nostro Paese: nei primi mesi del 2023 sono 14 le donne uccise in Italia, nel 2022 le vittime sono state 55 e nel 2021 quasi 70, secondo i dati del Viminale. Occorre, inoltre, evidenziare che nei numerosi altri casi registratisi nel corso degli ultimi venti anni, per l’omicidio di una donna incinta i rispettivi assassini sono stati condannati esclusivamente per l’omicidio della madre e non anche per quello del nascituro. La legge italiana, infatti, attualmente non prevede il riconoscimento del duplice omicidio in caso di assassinio di una donna in stato di gravidanza, indipendentemente dal mese di avanzamento della stessa. Il presente disegno di legge riconosce il duplice omicidio quando la vittima di un delitto è una donna in gravidanza, prevedendo pene più gravi.
Lo stato crepuscolare o restringimento del campo di coscienza
La perizia psichiatrica ha riconosciuto a Lucio Niero un obnubilamento temporaneo nella prima fase del delitto, quello che nella psicologia forense è chiamato stato crepuscolare. Secondo l’American Psychological Association lo stato crepuscolare - che è individuabile nella psicologia tout court, non soltanto in quella giudiziaria - è quel particolare stato di coscienza offuscata in cui l'individuo è temporaneamente inconsapevole di ciò che lo circonda, e può sperimentare fugaci allucinazioni uditive o visive e risponde a esse eseguendo atti irrazionali, come spogliarsi in pubblico, scappare o commettere violenza.
Lo stato crepuscolare altro non è che un disturbo della coscienza: si parla infatti, come espressione equivalente, di restringimento del campo di coscienza. La persona che ne è colpita agisce in una specie di stato simil-onirico, come se stesse sognando e fosse quindi guidata da correnti affettive che, nello stato di veglia, non sono presenti. Gli episodi possono durare qualche minuto oppure qualche giorno, e al loro termine non si ricorda più niente, un po’ come succede con certi sogni.
Un caso noto di stato crepuscolare è quello di Annamaria Franzoni. Se in primo grado, a seguito di perizia, la donna era stata giudicata capace di intendere e di volere, in secondo grado - con una perizia a cui non aveva voluto sottoporsi e che quindi era stata ricavata solo da documenti, registrazioni e dichiarazioni - le era stato riconosciuto dai periti un vizio parziale di mente determinato da uno “stato crepuscolare orientato”, integrante “grave disturbo della personalità” in soggetto affetto da sindrome ansiosa con conversione somatica su base isterica e inducente un “restringimento del campo di coscienza”, connotato da disturbi che possono esordire bruscamente e altrettanto bruscamente terminare. La corte non aveva però ritenuto la diagnosi compatibile con la condotta di Franzoni dopo il fatto (secondo il tribunale, la donna aveva ucciso Samuele poi aveva avuto cura di non lasciare tracce in altre stanze e si era cambiata, aveva occultato in qualche modo il pigiama ma soprattutto si era sbarazzata dell’arma, o l’aveva perfettamente ripulita, gesti che, secondo il giudice, testimoniavano una piena coscienza). In ogni caso, Annamaria Franzoni riteneva di essere innocente, non parzialmente incapace, e non accettava la tesi dello stato crepuscolare e della conseguente amnesia. Questo articolo approfondisce bene la questione dello stato crepuscolare di Annamaria Franzoni.
In pratica, come nel caso di Niero, la perizia ritiene che la persona abbia agito in uno stato di restringimento di coscienza. La giustizia, però, in entrambi i casi non ha considerato sufficiente l’obnubilamento temporaneo: si può agire senza sapere cosa si sta facendo, ma appena si torna lucidi (e Niero e Franzoni lo erano, la prova è come hanno gestito il dopo, con le chiamate e le loro versioni) si dovrebbe provare orrore o provare a rimediare. E a quanto pare, nessuno dei due l’ha fatto.
Il rito abbreviato: perché e a chi si concede
Nei casi di femminicidio raccontati fino a oggi attraverso il podcast, tutti gli imputati - poi condannati - hanno fatto richiesta di rito abbreviato. Ma che cos’è il rito abbreviato e perché è concesso anche in caso di omicidio volontario?
Il rito abbreviato è disciplinato agli artt. 438 e ss. c.p.p. ed è premiale per l'imputato, e conveniente per l'ordinamento sul piano dell'economia processuale.
Si tratta infatti di un procedimento speciale che, eliminando il dibattimento, consente al giudice del processo di decidere allo stato degli atti, cioè sulla base degli elementi contenuti nel fascicolo del PM.
Questo comporta quindi un notevole risparmio di tempo e di costi per la giustizia. In cambio, l’imputato otterrà uno sconto di pena di 1/3.
Esiste anche la possibilità di condizionare la richiesta di rito abbreviato ad un'integrazione probatoria (cd. “rito abbreviato condizionato”), che può essere una perizia psichiatrica, o l’audizione di alcuni testimoni. Il giudice potrà ammettere la richiesta qualora l'integrazione sia necessaria ai fini della decisione ma anche compatibile con le finalità di economia processuale del procedimento. Di fronte al rito abbreviato condizionato anche il PM potrà chiedere e ottenere l'ammissione di prova contraria.
La Legge n. 33/2019 ha introdotto il comma 1 bis all’art 438 cpp, che prevede che il rito abbreviato non sia ammesso per i reati puniti con la pena dell’ergastolo.
La norma è stata portata davanti alla Corte Costituzionale che nel 2020 ha affermato che tale disciplina non viola il diritto costituzionale di difesa, ben potendo il Legislatore escludere l’accesso a determinati riti alternativi agli imputati di reati particolarmente gravi, come quelli puniti con la pena dell’ergastolo.
Inoltre secondo la Corte, con la Legge esaminata, il Legislatore ha voluto assicurare per i reati più gravi la celebrazione di un processo pubblico di fronte alla Corte d’Assise e non di fronte a un Giudice monocratico, nel quale quindi anche le vittime abbiano la possibilità di essere ascoltate.
Per questo molti dei casi da noi trattati nel podcast oggi non potrebbero ottenere il rito abbreviato e quindi uno sconto di pena.
Rispondiamo alle vostre domande
Nelle scorse settimane ci sono arrivate alcune domande, e abbiamo pensato a questa newsletter anche per potervi rispondere. Scriveteci a ricordailmionome.podcast@gmail.com.
Cos’è l’omicidio d’impeto e cosa comporta?
Non esiste un reato chiamato “omicidio d’impeto”, ma si usa questa espressione per indicare un omicidio (ma in realtà vale per qualsiasi reato) eseguito d’impulso, senza che vi sia stata riflessione prima di agire.
La giurisprudenza parla più correttamente di “dolo d’impeto”, inteso come la risposta immediata o quasi immediata ad uno stimolo esterno. È l’esatto contrario della premeditazione.
Non è previsto come attenuante di per sé, a meno che non rientri nella casistica dell’art. 62 n. 2 codice penale (circostanza attenuante per aver agito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui).
Per avere questa attenuante devono quindi essere presenti:
lo “stato d’ira“, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”;
il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, e non con riferimento alle convinzioni dell’agente e alla sua sensibilità personale;
un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione.
Ricordiamo Jennifer Zacconi.
Il podcast
Ricorda il mio nome è un podcast mensile, lo trovi su Spotify, Apple Music, Amazon Music e Google Podcasts. L’ultimo episodio è uscito oggi, 15 marzo 2024, e racconta la storia di Jennifer Zacconi, uccisa dal padre del bambino che aspettava. Il prossimo episodio uscirà il 15 aprile 2024 sulle stesse piattaforme. Se ti piace il nostro lavoro, puoi parlarne, condividerlo sui social e lasciare una recensione sulla piattaforma che usi.
Chi siamo
Anna Bardazzi è nata a Prato e dopo più di dieci anni all’estero oggi vive a Milano. È autrice e copy writer e ha pubblicato il romanzo La felicità non va interrotta (Salani).
Roberta Sandri è avvocata con studio a Trento, si occupa principalmente di diritto di famiglia, dei minori e della persona, svolgendo anche la funzione di curatore speciale del minore e coordinatore genitoriale. Ha una specializzazione in Criminologia ottenuta presso l’Università Montesquieu di Bordeaux.