Ma non basterebbe divorziare?
Storie di mariti che preferiscono ammazzare anziché divorziare, quanto costa veramente oggi lasciare una moglie e i femminicidi mancati
Uomini che uccidono le compagne
Avevano fatto scalpore, qualche anno fa, le dichiarazioni di Piercamillo Davigo, magistrato coinvolto in passato anche nel caso Mani Pulite, il quale sosteneva che visti i tempi della giustizia italiana fosse più conveniente uccidere la moglie che divorziare. Nel video Davigo sostiene: “Fino a poco tempo fa, eravamo l’unico paese al mondo dove una procedura di separazione e divorzio aveva una durata maggiore della pena da espiare per la soppressione del coniuge”.
Le dichiarazioni avevano fatto saltare sulla sedia non soltanto le persone comuni, ma anche colleghi e colleghe di Davigo e associazioni come D.i.Re.
Le parole dell’ex magistrato (nel frattempo Davigo è stato indagato e condannato, a oggi in appello, per rivelazione del segreto d'ufficio) sembrano davvero assurde - pur avendo scatenato grasse risate in sala - eppure ci sono ancora uomini che, per non divorziare, uccidono le mogli.
La prova ce l’ha data proprio la storia di Dina Dore: che senso ha uccidere la moglie anziché divorziare e rifarsi una vita? La speranza di farla franca e poter così vivere con tutti i soldi e le proprietà? Secondo i giudici che hanno seguito il caso del femminicidio di Dore il movente è proprio questo: divorziare costa, senza contare che devi restare in contatto tutta la vita, o quasi, con la madre dei tuoi figli.
Se mogli e compagne vengono uccise per lo più nel momento in cui decidono di uscire da una relazione e quindi separarsi, e l’uomo commette un femminicidio per possesso (o con me o morta) in casi come quello di Dina Dore la donna rappresenta un impiccio per una nuova relazione. Prendiamo Giulia Tramontano. Impagnatiello si era invaghito di un’altra e non voleva portare avanti la relazione con Tramontano, tanto meno avere un figlio con lei. Avrebbe tentato per mesi di avvelenarla, non si sa ancora se per farla abortire o per uccidere lei e il bambino che aspettavano. Alla fine, l’ha uccisa violentemente e ha cercato di occultarne il cadavere.
Un altro caso abbastanza noto è quello del femminicidio di Roberta Ragusa. La donna sparì da casa nella notte e il suo corpo non venne mai ritrovato, ma per la sua morte venne indagato e poi condannato a 20 anni il marito. Il movente? L’uomo aveva ormai da tempo una relazione con una dipendente e voleva iniziare una nuova vita con lei, ma divorziare non era semplice. Praticamente una storia fotocopia di quella di Dina Dore. Anche in questo caso l’uomo ha negato tutte le accuse.
E ci sono storie ancora peggiori, se davvero si può fare una classifica di cosa sia peggio o meglio quando c’è di mezzo la morte di una donna e di altre persone. Nel 2014, durante i mondiali di calcio, un uomo di Motta Visconti uccise la moglie e i figli piccoli e poi andò a vedere la partita per crearsi un alibi. Per cercare di allontanare ulteriormente i sospetti da sé, l’uomo ebbe un rapporto sessuale con la moglie. Poi, appena finito, l’accoltellò. In questo modo, pensava, avrebbero trovato le tracce del rapporto e avrebbero escluso che tra loro ci fossero problemi, potendo così incolpare dei ladri o qualcuno che si era introdotto in casa. La figlia aveva 5 anni e il figlio 20 mesi. Il movente? Si era invaghito di una collega, ma lei non voleva intraprendere una relazione con un uomo sposato. E quindi ha ammazzato tutta la famiglia. Quando gli è stato chiesto: ma perché non hai semplicemente divorziato?, lui ha risposto che divorziando sarebbero comunque rimasti i figli.
La realtà è che divorziare oggi non è più complicato, e da molto tempo. Non sono i soldi il problema, non è il mantenimento. A pagarne le conseguenze economiche, nonostante una narrazione che si può definire bizzarra, sono prevalentemente le donne: questo rapporto Istat è del 2009, cioè quando ancora il mantenimento per la moglie era praticamente assicurato. Sfogliate le prime righe per farvi una veloce idea. Fino a poco tempo fa le donne si occupavano dei figli, gli uomini dovevano assicurare i soldi e poi potevano fare ciò che volevano, con al massimo due weekend al mese impegnati. Oggi non è più così.
Divorziare oggi più che una questione economica diventa una questione di responsabilità. Significa spesso avere l’affido dei figli al 50%. Significa dover mantenere relazioni con la propria ex mentre si vive una nuova storia, dovendosi barcamenare tra presente e passato. Insomma significa dover diventare adulti, cosa che molti uomini, sembra, non hanno ancora intenzione di fare. Gli stessi che non si sono mai lavati un paio di mutande o che aspettano ancora di trovare la cena pronta. Quelli che non sanno che i figli hanno degli impegni o che classe frequentano. Quelli che “ma io lavoro”. Sono gli stessi uomini, con in più la convinzione che la donna non sia che oggetto, non soggetto: gli oggetti non hanno vita, il loro destino può essere deciso dai loro proprietari. Perciò ti uccido, come fossi una mosca che mi ronza intorno dandomi fastidio.
Troppa fatica alzarsi e aprire la finestra per lasciarla uscire, si fa prima ad ammazzarla.
Cosa significa divorziare oggi
Negli ultimi tempi ci sono stati diversi interventi legislativi volti a rendere separazioni e divorzi più veloci e meno costosi.
Da ultimo, con la riforma Cartabia, si è previsto di poter chiedere, in un unico atto, sia la separazione che il divorzio (che verrà ratificato dopo i 6 mesi di separazione definitiva).
Chiaramente è difficile fare una stima dei costi, dipende dalle questioni da risolvere, da quante trattative servano, dall’avvocato e soprattutto se sarà una separazione (o divorzio) consensuale o meno. Una separazione consensuale di complessità media si aggira intorno ai 2800 euro + iva e accessori.
In caso di giudiziale, da tariffe forensi superano invece i 7.000,00 euro, sempre in media.
Per i soggetti meno abbienti si ha poi diritto al gratuito patrocinio, cioè all’avvocato pagato dallo stato. Per il 2024 il limite di reddito per avere diritto al gratuito patrocinio è 12.838,01 euro e per i casi di separazione, divorzio, cause per il mantenimento dei figli, dal reddito complessivo si esclude quello del coniuge/partner.
La legge prevede diverse possibilità per contenere i costi: si può andare direttamente in comune (in assenza di figli minori o comunque non autosufficienti), oppure concludere con una negoziazione assistita tra avvocati.
Anche il cd. assegno di mantenimento per il coniuge più debole è ormai (quasi) un lontano ricordo. La Corte di Cassazione ha via via ridefinito i casi in cui si avrà diritto a un assegno, e di base viene escluso quando il coniuge debole ha adeguati redditi propri o la capacità di procurarseli. Oggi è possibile ottenere un assegno divorzile soprattutto in caso di matrimoni di lunga durata, redditi alti di uno dei due, e sostanziale impossibilità di avere redditi adeguati (il classico caso della moglie ultracinquantenne che ha scelto per comune decisione di non lavorare per gestire la famiglia consentendo al marito di fare carriera). Ovviamente vale anche al contrario, ma sappiamo che si tratta di casi più unici che rari, almeno se pensiamo a matrimoni ultraventennali, tra una decina di anni probabilmente sarà diverso.
E per quanto riguarda i figli?
Oggi i figli, dopo una separazione, sempre più spesso vengono gestiti al 50% tra i genitori: in questo caso, a parità di redditi e patrimoni, non ci sarà nessun assegno di mantenimento. In caso di discrepanza di redditi, ci sarà un contributo, parametrato ai giorni in cui i figli vivono con l’uno o con l’altro e alla differenza di redditi. Questo vale sia in caso di matrimonio che in caso di convivenza.
La casa coniugale (o familiare, se non c’è matrimonio), in assenza di accordo, viene assegnata al genitore che sta più tempo con i figli, e nel quantificare l’assegno si terrà conto anche dei costi dell’affitto che chi lascia la casa dovrà sostenere.
Non sono tanto la separazione o il divorzio ad essere costosi, è la vita. Il costo che incide di più è mantenere due case e in caso di redditi medio-bassi è difficile, senza dubbio, a volte impossibile e uno dei due deve rientrare dai genitori. Il mantenimento medio per i figli invece non lo qualificherei come un “impoverimento”: i figli costano anche se si sta in coppia, e spesso quanto viene versato basta a malapena per la mensa scolastica e i costi fissi.
Nel 2024, insomma, non c’è una parte che si arricchisce a spese dell’altra. Entrambi dovranno fare sacrifici e controllare le spese.
Però, una considerazione data dall’esperienza personale come avvocata di famiglia: quando i padri versano un mantenimento per i figli, si sentono quasi defraudati, pensano che sono soldi che danno alla ex e ne fanno un dramma: “le do 500 euro al mese” “con i miei soldi va dall’estetista” o simili. Come se con 500 euro al mese, oltre a spesa alimentare, vestire i figli e prendersene cura (malattie, riunioni, sport, crisi esistenziali degli adolescenti ecc), si potesse anche fare la bella vita. Come dicevo più su, i figli costano, e se la madre li tiene per la maggior parte del tempo di conseguenza le spese saranno affrontate da lei, che probabilmente, a causa del gender pay gap ancora frequente, o magari del part time per potersi occupare dei figli, guadagna anche molto meno dell’eex.
Invece capita spesso che i padri si sentano in diritto di dire all’ultimo “questo week end non ci sono” “non sto bene, vengo la settimana prossima” “sono senza auto, non posso venire”: situazioni che impongono alla madre un’ulteriore cura che nessuno le risarcisce. La madre c’è sempre, non può avere impegni, programmi, necessità.
Le cose stanno un pochino cambiando, ma siamo ben lontani da una piena parità.
Ha preso la moglie a martellate
Nell’ultimo mese sembra che non ci siano stati femminicidi. Ma ogni giorno il bollettino della violenza di genere non si ferma. I tentati femminicidi sono numerosi: il 25 aprile, a San Mauro di Romagna, un uomo ha preso a martellate la moglie e le ha staccato un orecchio a morsi, poi è scappato. Lei si è salvata perché, vedendo la foto del figlio, ha deciso che doveva vivere ed è riuscita a chiamare i soccorsi. Il marito, invece, è ancora ricercato.
Il 10 maggio una donna è stata aggredita dal marito, lei 76 anni lui 86, con sette coltellate. Lei è sopravvissuta solo perché si è finta morta, e così dopo che lui ha tentato di uccidersi è riuscita a chiamare i soccorsi.
Il 12 maggio un uomo di 36 anni ha accoltellato la compagna di 24, nella bergamasca, poi l’ha lanciata in una scarpata. Dopo ha chiamato il 118 dicendo che era caduta. È ricoverata in gravi condizioni.
A Chioggia una donna è stata soccorsa per un tentativo di strangolamento da parte dell’ex. Dopo tre giorni, mercoledì 8 maggio, e dopo la denuncia di lei, lui si è suicidato.
Il 6 maggio, in provincia di Parma, un ergastolano in semilibertà ha tentato di uccidere la moglie, e madre dei suoi figli, prima accoltellandola e poi sfregiandola con l’acido. Il fatto è accaduto in strada e la donna, fortunatamente, è fuori pericolo. Due donne sfregiate con l’acido nello stesso giorno: a Varese un uomo ha aspettato in strada l’ex compagna, l’ha accoltellata e poi le ha gettato l’acido in volto. Visto che c’era, ha accoltellato anche il padre della donna, che era con lei, che è morto per le ferite riportate. L’assassino era già stato denunciato ed era stato emesso nei suoi confronti un divieto di avvicinamento.
Questi sono soltanto alcuni dei casi che si sono verificati in questi giorni. Uomini che provano a uccidere le mogli, le compagne o le ex ma che non ci riescono. La violenza di genere non è un numero che deve farci gioire quando sembra rallentare: non rallenta mai. Che siano stalking, molestie, violenza sessuale, tentati femminicidi o femminicidi, continua inesorabile sulle nostre teste, nell’indifferenza più totale.
Ricordiamo Dina Dore.
Ricorda il mio nome live
Il 25 maggio, alle 17, ci trovate a Prato, alla biblioteca Lazzerini, per il primo incontro live. Leggeremo una storia inedita, quella di Antonia Bianco, e poi discuteremo di violenza di genere con la responsabile e un’operatrice (e psicologa) del Centro antiviolenza La Nara di Prato. Vi aspettiamo!
Il podcast
Ricorda il mio nome è un podcast mensile, lo trovi su Spotify, Apple Music, Amazon Music, Google Podcasts e YouTube. L’ultimo episodio è uscito oggi, 15 maggio 2024, e racconta la storia di Dina Dore, uccisa da un sicario per mandato del marito. Il prossimo episodio uscirà il 15 giugno 2024 sulle stesse piattaforme e sarà un episodio bonus diverso dal solito. Se ti piace il nostro lavoro, puoi parlarne, condividerlo sui social e lasciare una recensione sulla piattaforma che usi.
Chi siamo
Anna Bardazzi è nata a Prato e dopo più di dieci anni all’estero oggi vive a Milano. È autrice e copy writer e ha pubblicato il romanzo La felicità non va interrotta (Salani).
Roberta Sandri è avvocata con studio a Trento, si occupa principalmente di diritto di famiglia, dei minori e della persona, svolgendo anche la funzione di curatore speciale del minore e coordinatore genitoriale. Ha una specializzazione in Scienze Criminali ottenuta presso l’Università Montesquieu di Bordeaux.