Il braccialetto elettronico funziona? Verso il 25 novembre (con una sorpresa)
Il braccialetto elettronico serve a qualcosa? Il 25 novembre si avvicina: c'è una sorpresa per chi ascolta Ricorda il mio nome
Verso il 25 novembre
Lunedì era l’11 novembre, cioè un anno dalla scomparsa di Giulia Cecchettin. Giulia era uscita, nel pomeriggio, col suo ex fidanzato e dei due si erano poi perse le tracce. Noi - noi che coi numeri della violenza di genere facciamo i conti tutti i giorni - lo sapevamo fin dal primo minuto, che Giulia era morta. Nessuna ragazza, donna, scompare senza alcun motivo per una “fuga” o così, per andarsene. Il padre aveva denunciato la sua scomparsa la mattina dopo, le forze dell’ordine avevano scritto: allontanamento volontario. Di questo abbiamo già parlato qui.
Lunedì, quindi, a un anno dal giorno in cui è morta Giulia - il cui corpo è stato ritrovato una settimana dopo - gli articoli, i post e i ricordi sono stati tantissimi. Continuano, ancora, a qualche giorno di distanza. E tutto questo è positivo. Ricordo di aver trascorso dei giorni di pura angoscia nell’attesa che la ritrovassero e non c’è giorno in cui io non pensi a lei, alle parole che il padre ha scritto su di lei, alle mie figlie che potrebbero essere lei, e perciò io tutto questo lo capisco. Ma non basta.
Si avvicina il 25 novembre e quindi la rabbia collettiva si fa ancora più sentire: il problema è che di questa rabbia non resterà niente. Siamo tuttə bravə a condividere un post e a dirci tristə, poi passa l’anniversario del femminicidio di Giulia Cecchettin, passa il 25 novembre e passa pure la rabbia. Non la mia, non la nostra, non quella delle persone che ogni giorno si battono per far emergere la realtà della violenza di genere, che non è più sostenibile. Ma quella di una Nazione intera, sì.
I dati sulla violenza di genere sono sempre più preoccupanti. Vengono raccolti regolarmente (per esempio qui) e non sono che una parte, quella emersa, della realtà. I femminicidi non sono che la punta dell’iceberg. La violenza domestica è diffusa e spesso subdola (i tre quarti delle vittime che si rivolgono al 1522 non denuncia la violenza subita alle autorità competenti e i motivi della mancata denuncia si devono principalmente alla paura e alla paura della reazione del violento).
Quando parliamo tra di noi emergono storie tutte uguali, fatte di uomini controllanti, di uomini rabbiosi, di piccole e grandi umiliazioni, urla, pretese. Perciò chi arriva a denunciare la propria situazione non è che una piccola parte di una realtà diffusa e comune. Sistemica. La violenza di genere è sistemica, per questo è tollerata. Ci sembra tutto normale. È sempre stato così, anzi forse peggio. In fondo oggi possiamo votare, avere un conto corrente, studiare e uscire da sole. Divorziare. (Abortire non ce lo mettiamo).
Il 25 novembre passerà e come sempre non si farà niente per contrastare un problema che è prima di tutto culturale: come diciamo nell’episodio del podcast uscito oggi e dedicato a Sonia Di Maggio, le leggi possono anche cambiare, ma alcune leggi restano nella testa delle persone e nel loro agito, e continuano a essere considerate la norma. Per gli uomini e per le donne che le subiscono. È quindi inutile continuare a invocare leggi più dure (quelle che ci sono prevedono già tutto il possibile), ed è inutile continuare ad adottare misure che poi non vengono messe in pratica perché nemmeno chi dovrebbe applicarle è formato a riconoscere la violenza di genere e sottovaluta le situazioni. Se insieme alle misure di contrasto e dissuasione non si inizia a formare le persone, giovani ma anche adulte, sarà tutto inutile.
La nostra scuola non prevede un’educazione alle emozioni, ai sentimenti, alle relazioni. I nostri insegnanti sono sempre meno preparati e sempre più mandati allo sbaraglio, senza il tempo di formarsi e informarsi per capire le bambine e i bambini che hanno intorno. Nessuno verifica che la scuola sia un luogo dove si crescono esseri umani decenti. Nessuno verifica che all’interno degli ospedali, nelle caserme, nei consultori, nei commissariati, ci siano persone che sanno come si tratta una vittima di violenza. Lo Stato non si assume alcuna responsabilità rispetto all’educazione della propria cittadinanza, né di bambine e bambini, né di persone adulte.
È bello, bellissimo, che si parli del 25 novembre. Continuate a scriverne. Condividete. Continuate a parlare di Giulia. Ma ricordatevi che ciò che è successo a Giulia Cecchettin non è un evento straordinario, il suo femminicidio non è più grave di altri, e la sua morte era - è molto doloroso scriverlo - scontata. È stata il finale scontato di un copione visto e rivisto: un uomo che non tollera un NO, che non accetta di non possedere. Di Filippo Turetta è pieno il mondo, è piena l’Italia. Non tutti uccidono, ma chi continua a dire not all men fa parte del problema.
Come funziona (e se funziona) il braccialetto elettronico
Abbiamo spiegato qui cos’è il Codice Rosso. Nel Codice Rosso è espressamente previsto l’utilizzo del cosiddetto “braccialetto elettronico”, che in realtà è più spesso una “cavigliera” elettronica.
Si tratta di un dispositivo che consente il controllo elettronico in remoto dei soggetti posti agli arresti domiciliari, in detenzione domiciliare o alla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (nell’ambito delle norme per il contrasto alla violenza di genere). La legge 168/23 del 24.11.2023, detta anche Nuovo Codice Rosso (emanata proprio sulla scia dell’esplosione del dibattito pubblico sulla violenza di genere a seguito del femminicidio Cecchettin) ne ha esteso l’applicabilità anche ai cosiddetti “reati spia” (stalking, maltrattamenti in famiglia, minacce ecc).
Viene applicato alla caviglia o al polso del controllato, invia segnali ad un'unità di sorveglianza locale, installata all'interno dell'abitazione dove questi è obbligato a permanere.
Se il soggetto si allontana dalla zona di copertura o manomette il dispositivo e perde il contatto, scatta il segnale di avvertimento nella Sala Operativa delle forze dell'ordine e al contempo arriva un avviso ad un dispositivo in possesso della persona offesa, che viene tempestivamente avvertita nel caso questo decidesse di avvicinarsi oltre i limiti consentiti.
Purtroppo, non è sufficiente.
In ottobre ben 3 femminicidi sono stati compiuti perché il dispositivo non ha funzionato, vuoi per problemi di connessione alla rete, per tempi di attivazione e tempi tecnici delle Forze dell’ordine o per carenza della disponibilità effettiva del dispositivo.
Un esempio è il femminicidio di Celeste Palmieri, uccisa dal marito il 18 ottobre scorso. L'apparecchio alle 11.00 ha segnalato ai carabinieri la presenza dell'uomo nelle vicinanze della donna. I militari hanno subito avvertito la donna e inviato sul posto una pattuglia. A quanto risulta, non sarebbe invece suonato l’allarme sul dispositivo di Celeste. Poi, in pochi attimi, Mario Furio ha raggiunto la donna mentre lei stava per raggiungere la sua automobile nel parcheggio. Si è avvicinato e le ha sparato più volte. Mentre la pattuglia arrivava sul posto, ha raggiunto la sua vettura e si è sparato con la stessa arma.
In altri casi, l’assassino si era tolto il braccialetto elettronico: in questo caso ovviamente viene inviato un allarme, ma può mancare il tempo materiale per arrivare e mettere in sicurezza la vittima. Alcuni casi sono stati denunciati anche dalla trasmissione Chi l’ha visto?, che ha tentato di mostrare il funzionamento del dispositivo (e le sue falle).
Questo comporta una impressione di “scarsa credibilità” per l’opinione pubblica.
Pochi giorni fa è stata pubblicata una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 173/2024 del 4/11/2024.
La Corte è intervenuta in relazione ad alcune questioni di legittimità costituzionale sollevate dal GIP di Modena, proprio sugli articoli modificati dal “nuovo codice rosso” che riteneva illegittime le modifiche normative perché:
“prescrivendo la distanza minima di 500 metri e l’applicazione obbligatoria del braccialetto elettronico, avrebbero reso la misura stessa troppo rigida, in contrasto con il principio di individualizzazione e con la riserva di giurisdizione in materia di restrizione della libertà personale
“avendo inoltre la novella stabilito che, qualora l’organo di esecuzione accerti la «non fattibilità tecnica» del controllo remoto, il giudice debba imporre l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari, anche più gravi”.
La Corte Costituzionale ha però respinto il ricorso, affermando che il braccialetto elettronico è un importante dispositivo funzionale alla tutela delle persone vulnerabili rispetto ai reati di genere, e che la distanza minima di 500 metri corrisponde alla finalità pratica di dare uno spazio di tempo sufficiente alla persona minacciata per trovare sicuro riparo e alle forze dell’ordine per intervenire in soccorso. La Corte Costituzionale ha affermato il seguente principio:
«A un sacrificio relativamente sostenibile per l’indagato si contrappone l’impellente necessità di salvaguardare l’incolumità della persona offesa, la cui stessa vita è messa a rischio dall’imponderabile e non rara progressione dal reato-spia (tipicamente lo stalking) al delitto di sangue».
Il braccialetto elettronico è un passo avanti nella tutela delle donne e i recenti casi avvenuti non devono far pensare il contrario. È pur sempre un aiuto in più, ci sono stati diversi casi in cui, grazie alla segnalazione del braccialetto elettronico, l’uomo è stato intercettato e condotto in carcere.
I centri per uomini autori di violenza
In Italia esistono, dal 2009, i Centri per uomini autori di violenza, o Centri per uomini maltrattanti. Sono diffusi sul territorio italiano, e sono luoghi in cui gli uomini che hanno compiuto violenza (fisica, psicologica, economica), che siano o meno stati denunciati, possono fare un lavoro su loro stessi insieme ad altri uomini e col supporto di specialisti. La giornalista Michela Giachetta ci ha scritto un libro, pubblicato da Fandango in ottobre, che si intitola I mostri non esistono.
Se siete a Milano, lo presentiamo insieme alla Libreria del Convegno il 28 novembre, alle 19. Si parlerà di uomini qualunque che scelgono di (o sono obbligati a) rimettersi in discussione per operare un cambiamento (o come dicono alcuni, per evolvere).
Un nuovo podcast in arrivo
Vi siete mai chiestə come mai le Nazioni Unite hanno scelto proprio la data del 25 novembre per celebrare la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne? Noi sì, e ci abbiamo fatto un podcast. Las Mariposas - Storia del 25 novembre vi racconta in sette episodi perché si è scelto questo giorno per ribadire che la lotta alla violenza di genere deve continuare.
Las Mariposas è un viaggio nella vita di tre sorelle straordinarie e indomite, uccise da un sanguinario dittatore.
In questo file audio trovate il trailer. Tutti gli episodi usciranno il 25 novembre 2024.
Ricorda il mio nome è un podcast mensile, lo trovi su Spotify, Apple Music, Amazon Music e YouTube. L’ultimo episodio è uscito oggi, 15 novembre 2024, e racconta la storia di Sonia Di Maggio, uccisa dall’ex fidanzato mentre passeggiava in strada col nuovo compagno. Il prossimo episodio uscirà il 15 dicembre 2024 sulle stesse piattaforme. Se ti piace il nostro lavoro, puoi parlarne, condividerlo sui social e lasciare una recensione sulla piattaforma che usi.
Chi siamo
Anna Bardazzi è nata a Prato e dopo più di dieci anni all’estero oggi vive a Milano. È autrice e copy writer e ha pubblicato il romanzo La felicità non va interrotta (Salani).
Su Instagram è @bardazzi.anna
Roberta Sandri è avvocata con studio a Trento, si occupa principalmente di diritto di famiglia, dei minori e della persona. Ha una specializzazione in Scienze Criminali ottenuta presso l’Università Montesquieu di Bordeaux.
Su Instagram è @avvocata.di.famiglia