Il nuovo reato di femminicidio
Che cosa dice il decreto legge che introduce il reato di femminicidio nel codice penale e perché la lotta alla violenza di genere deve essere includente
Intersezionalità e violenza di genere
Se frequentate un po’ - specialmente sui social - le tematiche di genere vi sarà capitato sicuramente di imbattervi in una recente discussione sul tema del transfemminismo intersezionale. Avrete già sentito parole come TERF (acronimo di Trans Exclusionary Radical Feminist, ovvero "femminista radicale transescludente" e forse avrete anche preso una posizione.
La nostra posizione è quella che ascolterete nell’episodio uscito oggi, 15 marzo 2025, e che racconta la storia di Asha e Valentina Andriani. Asha e Valentina erano due sorelle transgender: sono nate entrambe come maschi, i genitori le hanno cresciute come maschi, poi hanno effettuato la transizione. Per noi, quindi, Asha e Valentina erano due donne, e come tali vittime di femminicidio perché uccise per motivi di genere. Una perché, in quanto sex worker, era esposta ai pericoli della strada e considerata, da chi l’ha uccisa, merce. Un oggetto con cui giocare, con cui divertirsi una sera.
Valentina, invece, aveva un compagno e voleva lasciarlo: un femminicidio che potrebbe benissimo rientrare nel nuovo reato che si vuole introdurre nel codice penale (e di cui scriviamo più sotto - ma chissà se le donne trans rientreranno nella definizione, e se sì in quale fase della transizione).
Proprio nei giorni scorsi, in occasione dell’8 marzo, l’Unione delle Donne ha pubblicato questo post:
Le firmatarie di questa lettera sono diverse, e per farvi un’idea potete leggere questo articolo.
Simone de Beauvoir scriveva: donne non si nasce, lo si diventa. Per chi sostiene invece le tesi di cui sopra - ispirandosi al femminismo della differenza (qui qualche accenno non esauribile in poche parole, ovviamente) - donne si nasce, punto. E per raggiungere la parità, per far cessare la violenza di genere, non bisogna mescolare i piani, ma avere bene in testa che si sta parlando di donne, che hanno le proprie peculiarità, che sono diverse da qualsiasi altra soggettività.
Eppure, se pensiamo a un bambino e a una bambina in culla, o all’asilo nido, che differenze vediamo? Scienziate e scienziati, come ci racconta Angela Saini nel suo saggio Inferiori, hanno analizzato i comportamenti di bambine e bambini molto piccoli per poter capire se davvero ci siano delle differenze in base al sesso. Ebbene, quello che viene fuori - come sempre - è che fin dalla più tenera infanzia bambine e bambini rispondono a impulsi esterni che sono influenzati dal genere. Ovvero: ci rivolgiamo a loro in maniera diversa a seconda che siano maschi o femmine. E per questo poi, di conseguenza, rispondono incasellandosi.
Quello che differenzia una donna che nasce biologicamente donna afferisce al materno: una donna nata xx può potenzialmente partorire e allattare. Ma esistono anche le madri adottive, tra l’altro previste in natura dalla notte dei tempi.
Quando parliamo di violenza di genere e parità, quindi, non stiamo difendendo una roccaforte: il fatto di includere nel discorso le donne transgender (e se vogliamo, anche gli uomini transgender, cioè quelle persone nate xx che però si identificano in un maschio, e perché no anche le persone non binarie) non toglie niente a noi donne cisgender (cioè che ci identifichiamo come donne).
La matrice della violenza è sempre la stessa: patriarcale.
Per molte persone che sostengono che donna significhi donna, cioè che donna si nasce, tutte queste questioni - persona con utero, transfemminismo, eccetera - sono questioni inutili che allontanano dal problema principale: liberarci dal patriarcato (e quindi dalla violenza, dagli abusi, da tutto). Ma il patriarcato è un sistema che opprime, e come tale opprime tutte le soggettività che non detengono il potere. Escludere le persone trans, o dimenticarsi delle persone immigrate, non ci farà arrivare prima all’obiettivo, ma anzi, ci renderà più deboli perché dovremo preoccuparci pure di fare la guerra ad altre persone marginalizzate e oppresse.
Il vero femminismo è includente e tiene conto di tutte le soggettività che subiscono l’oppressione patriarcale. Nessuna di queste vuole “rubarci” niente, ma semmai lottare al nostro fianco per una società che riconosca pari diritti a chiunque.
Parlare di transicidio non eliminerà il concetto di femminicidio. Davvero crediamo che esista differenza tra una donna uccisa dal compagno che non vuole essere lasciato e una donna trans uccisa dal compagno che non vuole essere lasciato? Non c’è differenza. Subiamo la stessa violenza, ci ammazzano comunque, ci sfruttano, ci violentano, ci umiliano, ci credono oggetti. Siamo soggetti. Riconosciamoci.
Facciamolo per Asha e Valentina, e per tutte le persone come loro, uccise due volte: uccise da un uomo per motivi di genere, uccise perché ridicolizzate, invisibilizzate, derise, non viste.
Portiamo con noi la parola intersezionalità: sì, sembra complessa, ma non lo è. Significa soltanto avere sempre ben presente che lottare per i diritti delle donne non significa lottare per i diritti delle donne cisgender bianche. Ma includere tutte le donne e le soggettività oppresse, e farlo nel nostro quotidiano, compreso quando assumiamo la badante o la babysitter, quando usiamo le parole giuste per chiamare una persona trans, quando usciamo dal nostro interesse privato per renderlo collettivo.
La rabbia, da sola, è solo rabbia. Ma se si unisce a quella di altre persone, diventa rivolta.
Il nuovo reato di femminicidio
Il 7 marzo 2025 il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di disegno di legge recante "Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime", proposto dai ministeri della Giustizia, dell'Interno, per la Famiglia Natalità e Pari Opportunità, per le Riforme istituzionali e Semplificazione normativa.
1) Il reato di femminicidio
Il nuovo Disegno di Legge introduce il reato specifico di femminicidio nel Codice Penale.
Il reato di femminicidio viene formalmente inserito nel Codice Penale con l'articolo 577-bis. Al momento, il testo della bozza così recita
Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo. Fuori dei casi di cui al primo periodo, si applica l’articolo 575. Si applicano le circostanze aggravanti di cui agli articoli 576 e 577. Quando ricorre una sola circostanza attenuante ovvero quando una circostanza attenuante concorre con taluna delle circostanze aggravanti di cui al secondo comma, e la prima è ritenuta prevalente, la pena non può essere inferiore ad anni ventiquattro. Quando ricorrono più circostanze attenuanti, ovvero quando più circostanze attenuanti concorrono con taluna delle circostanze aggravanti di cui al secondo comma, e le prime sono ritenute prevalenti, la pena non può essere inferiore ad anni quindici
2) Aggravanti per violenza e maltrattamenti
Sono introdotte aggravanti per reati di violenza, tra cui:
Maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.): la proposta è di modificare l’articolo come segue: «La pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità»;
Lesioni personali, stalking e violenza sessuale (artt. 585, 593-ter, 609-ter, 612-bis c.p.): “Le pene stabilite dai commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”.
3) Maggior tutela per le vittime
La vittima ha diritto a essere informata in tempo reale sui procedimenti penali e sulle eventuali richieste di patteggiamento dell’imputato, nonché, durante l’esecuzione della pena, sulla concessione di misure alternative o benefici. Questo ultimo è stato un punto molto sollecitato da vittime e parenti delle vittime. Il disegno di legge prevede:
quando al condannato o all’internato sono applicati misure alternative alla detenzione o altri benefici analoghi che comportano l’uscita dall’istituto, il giudice che ha adottato il provvedimento ne dà immediata comunicazione alla persona offesa indicata nella sentenza di condanna, qualora la stessa ne abbia fatto richiesta indicando il recapito, anche telematico, presso il quale intende ricevere la comunicazione. Se ne hanno fatto richiesta con le medesime modalità, la comunicazione è data ai prossimi congiunti della persona offesa deceduta in conseguenza del reato per il quale il condannato o l’internato è detenuto
È rafforzata la protezione cautelare, con maggiore facilità di applicazione della custodia in carcere o degli arresti domiciliari per gli autori di violenze gravi.
4) Formazione obbligatoria per magistrati
I magistrati che trattano casi di violenza di genere e domestica dovranno partecipare a corsi di aggiornamento che avranno ad oggetto anche “modalità di interazione con le persone offese idonee a prevenire la vittimizzazione secondaria, tenendo conto della entità del trauma e nel rispetto delle condizioni soggettive e dell’età delle vittime”.
Cosa significa in concreto
Stiamo parlando di un disegno di legge, che seppur approvato nel suo schema deve ancora essere discusso e approvato dalle camere. Per questo non si può ancora parlare di legge.
Ma a parte questo, proviamo a capire perché si è fatto polemica anche su questo.
Il reato di femminicidio è sicuramente un passo avanti: riconosce che il femminicidio esiste. E non è per niente scontato. Non dobbiamo fare l’errore di polemizzare solo perché è stato proposto dai ministeri del governo Meloni, perché è comunque un elemento positivo per il nostro ordinamento (tant’è che solo poche settimane fa abbiamo contestato la decisione di Milei, il presidente argentino, di togliere il reato di femminicido dal codice penale…).
Ma ci sono due punti da tenere bene a mente:
il primo è che questa proposta rientra nella cosiddetta “propaganda”; è una mossa che punta a dimostrare che questo governo ha a cuore la questione “donne” e che se ne occupa (invece pensare di combattere la disoccupazione femminile, creare asili nido, introdurre il congedo paterno obbligatorio, quello è troppo difficile)
il secondo è che non saranno “pene più severe” a scoraggiare gli uomini che commettono femminicidio o ci provano; oggi, salvo qualche eccezione, la maggior parte degli autori viene condannata all’ergastolo in ragione del conteggio delle aggravanti, che quasi sempre sono più di una (spesso c’è il vincolo di coniugio o la convivenza, sempre ci sono i motivi futili e abietti, spesso ci sono crudeltà e premeditazione) e a causa del mancato riconoscimento delle attenuanti (davvero di rado concesse). Per questo sarebbe necessario, prima di lavorare a una legge ad hoc, lavorare sulla radice del problema, cioè la violenza maschile contro le donne.
Quello che serve a una società per limitare la violenza di genere non è il carcere, perché quando si viene condannati significa che il fatto è già accaduto. Quello che serve è un’educazione che parta dall’infanzia e accompagni le persone per tutta la loro vita. Serve impiego femminile affinché le donne possano andarsene da uomini violenti, servono asili nido che permettano alle donne di lavorare, servono congedi agli uomini perché imparino a fare i padri e a svolgere ruoli di cura, servono più centri di autocoscienza maschile e per uomini maltrattanti, serve un’informazione capace di veicolare i giusti messaggi, servono prodotti culturali che insegnino la parità e il rispetto, serve una società non violenta.
Insomma, possiamo anche introdurre nel nostro codice penale il reato di femminicidio, che sicuramente ha un valore simbolico molto alto perché riconosce il femminicidio come crimine di genere.
Ma se non gettiamo le basi per una nuova società, continueremo a contare le donne ammazzate e ad affollare le carceri.
Il podcast
Ricorda il mio nome è un podcast mensile, lo trovi su Spotify, Apple Music, Amazon Music e YouTube. L’ultimo episodio è uscito oggi, 15 marzo 2025, e racconta la storia di Asha e Valentina Andriani, due sorelle transgender uccise a quattro anni di distanza. Il prossimo episodio uscirà il 15 aprile 2025 sulle stesse piattaforme. Se ti piace il nostro lavoro, puoi parlarne, condividerlo sui social e lasciare una recensione sulla piattaforma che usi.
Chi siamo
Anna Bardazzi è nata a Prato e dopo più di dieci anni all’estero oggi vive a Milano. È autrice e copy writer e ha pubblicato il romanzo La felicità non va interrotta (Salani).
Su Instagram è @bardazzi.anna
Roberta Sandri è avvocata con studio a Trento, si occupa principalmente di diritto di famiglia, dei minori e della persona. Ha una specializzazione in Scienze Criminali ottenuta presso l’Università Montesquieu di Bordeaux.
Articolo ineccepibile come sempre!