Perché quello di Sofia Stefani non è un femminicidio?
La Corte d'Assiste di Bologna non ha ammesso CAV e associazioni che si volevano costituire parte civile al processo
Sofia Stefani è morta il il 16 maggio 2024, uccisa da un colpo di pistola mentre si trovava nella sede del comando della polizia locale di Anzola dell’Emilia. A far partire il colpo è stato Giampiero Gualandi, collega della donna (la quale però lavorava ormai in un altro comando, a Cervia), e sempre lui ha dato l’allarme, dicendo che si era trattato di un tragico incidente. Come nei film, il colpo sarebbe partito mentre Gualandi puliva la pistola, e guarda caso avrebbe preso Stefani proprio in testa, non lasciandole scampo. Ha poi ritrattato, dicendo che il colpo sarebbe partito durante una colluttazione.
Dalle indagini però è emerso che i due avevano una relazione extraconiugale, che si era interrotta poco tempo prima, a febbraio. L’uomo era stato in passato protagonista di diverse vicende, tra cui una querela per molestie sporta da un’altra collega dieci anni prima. In questo caso, però, le prove portano a credere che fosse proprio Stefani a non accettare la fine della relazione imposta da Gualandi, la cui moglie, venuta a conoscenza del tradimento, aveva anche avuto un chiarimento con la stessa Stefani.
Il giudice per le indagini preliminari non aveva comunque creduto alla versione di Gualandi - cioè quella del colpo accidentale partito durante una colluttazione, questa l’ultima versione - e aveva disposto che restasse in carcere anche per una “spiccata pericolosità sociale” e il rischio di reiterazione del reato.
Dall’esame autoptico, è emerso che Stefani è stata colpita da 30 centimetri di distanza, dal basso verso l’alto, sotto l’occhio. Per la dinamica del colpo, è da escludere che sia stato accidentale.
Insomma, Gualandi voleva togliersi di mezzo l’amante che non voleva più, e ha organizzato la sua morte. Nell’ordinanza del gip si legge: " era ragionevole ritenere che l'uomo avesse impugnato la pistola e premuto il grilletto per chiudere definitivamente i conti con una persona che lo ossessionava da alcuni mesi in maniera incessante".
Successivamente, Gualandi è stato rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dall’aver commesso il fatto nei confronti di una persona alla quale era legato da una relazione affettiva
“Non è femminicidio”
Pochi giorni fa, però, la Corte d’Assise di Bologna ha deciso di escludere, accogliendo le richieste della difesa di Gualandi, i centri antiviolenza e le associazioni che si volevano costituire parte civile: la Casa delle donne di Bologna, Udi, Malala, Mondo Donna ed SOS Donna.
La motivazione fornita dal presidente della Corte è questa:
Le condotte non permettono allo stato degli atti di ricondurre il fatto alla definizione di femminicidio, mancando qualsiasi riferimento alla lesione della sfera di autodeterminazione della donna, ad atti di maltrattamento, discriminazione e prevaricazione o ad atti tipici della violenza di genere.
Il che è abbastanza paradossale, se si analizza il capo di imputazione così come è stato scritto dalla Procura di Bologna:
Per aver cagionato il decesso di Sofia Stefani con la quale intratteneva una relazione extraconiugale, attingendola con un colpo di arma da fuoco al volto; fatto commesso per sottrarsi alle insistenze di quest’ultima nel proseguire la relazione, nonostante il disagio e i discontinui tentativi di lui di porre fine ad essa. Con le aggravanti di aver commesso il fatto in danno di persona a cui era legato da relazione affettiva per futili motivi.
Probabilmente il ragionamento fatto dalla Corte è che era lui a voler troncare la relazione, quindi mancherebbe “la lesione della sfera di autodeterminazione della donna”.
Ma il fatto di uccidere una donna, con la quale si aveva una relazione, solo perché questa è diventata una scocciatura, è chiaramente uno dei comportamenti tipici della concezione patriarcale, la donna come oggetto, da buttare quando non serve più.
In Italia non esiste una nozione giuridica di femminicidio. Non c’è nessuna legge che lo definisca.
Per il dizionario “Devoto-Oli” femminicidio è “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.
In ambito criminologico, con il termine femminicidio viene fatto riferimento all’insieme di pratiche violente esercitate da un soggetto di sesso maschile in danno di una donna “perché donna”.
Nel caso specifico, va precisato che la distinzione ha rilevanza solo ai fini dell’esclusione dei centri antiviolenza che volevano costituirsi parte civile.
Senz’altro, l’ammissione della costituzione dei centri antiviolenza come parte civile nel processo ha una fortissima valenza, in quanto riconosce che il femminicidio, la violenza domestica lo stalking o altri reati di genere non rappresenta solo una lesione dei diritti della singola donna, e che non è un fatto privato, né tantomeno solo una “questione delle donne” ma costituisce una profonda ferita per tutta la società.
Ma gli avvocati Andrea Speranzoni e Lisa Baravelli, che rappresentano i genitori e il fidanzato della vittima, in una nota ricordano che la decisione della Corte d’Assise, presieduta dal presidente del tribunale Pasquale Liccardo, «è stata adottata “allo stato degli atti”, ed è quindi relativa ad un momento processuale iniziale, in cui la Corte non ha accesso al fascicolo delle indagini svolte dalla Procura, e dunque ad alcun materiale probatorio, così come previsto dalla legge». Nondimeno, i legali di parte civile ribadiscono che «sarà possibile, nel corso del processo, provare che l’omicidio di Sofia Stefani rientra a pieno titolo nella definizione di femminicidio. Riteniamo quindi doveroso precisare che sarà l’aula della Corte di Assise il luogo in cui verranno formate le prove».
La famiglia di Sofia Stefani, «e noi con loro», sottolineano gli avvocati, «siamo coscienti dell’enorme lavoro investigativo della Procura della Repubblica di Bologna e dall’Arma dei carabinieri e prendiamo le distanze da una polemica che non riguarda il processo e forse non tiene conto adeguatamente del fatto che il 17 marzo prossimo inizierà l’istruttoria in aula, ove saremo impegnati a perseguire l’ottenimento della piena giustizia che Sofia ed i suoi congiunti meritano».
Non resta quindi che seguire il processo, e capire come evolverà la questione.
I femminicidi dal 1° al 28 febbraio 2025
Johanna Quintanilla aveva 40 anni ed era originaria di El Salvador. Era arrivata in Italia circa nove anni fa, a Milano, dove viveva tutt’ora. In Salvador aveva una zia a cui era legatissima. Aveva un cagnolino a cui era molto affezionata. Lavorava come colf e babysitter per una famiglia italiana, tutti i pomeriggi, mentre al mattino faceva lavori saltuari. Le piaceva uscire con le amiche e amava la vita. Sperava di poter guadagnare di più e stava cercando altri lavori per aumentare le sue entrate. Le sue amiche dicono di lei che era sempre sorridente: anche se aveva quarant’anni, manteneva la gioia e l’entusiasmo di una bambina. Le piaceva tantissimo viaggiare: di recente era stata in Egitto. Aveva un compagno da molti anni, anche lui originario di El Salvador. Aveva fatto in modo che la raggiungesse in Italia, alcuni anni fa.
È stato lui a ucciderla e a nascondere il suo corpo, che è stato ritrovato il 2 marzo 2025 nel fiume Adda, in un borsone.
Eleonora Guidi aveva 34 anni e viveva a Rufina, in provincia di Firenze. Lavorava come impiegata in un’azienda che produce pannelli solari. Era mamma di un bambino di un anno e mezzo. Di lei non si sa nulla: era molto riservata sui social e anche le persone che la conoscevano non raccontano molto. Si vedeva poco in giro. È stata uccisa dal compagno davanti al figlio mentre preparava la colazione, l’8 febbraio 2025.
Cinzia D'Aries aveva 51 anni e viveva a Venaria Reale. Era sposata e non aveva figli. Era casalinga, ma aveva lavorato in passato come collaboratrice domestica. Il marito era pensionato. L’ha uccisa accoltellandola l’8 febbraio 2025.
Tilde Buffoni aveva 83 anni e viveva a Capanne, una frazione di Montignoso, in provincia di Massa Carrara. Aveva sempre lavorato come infermiera ed era in pensione. Di lei sappiamo poco, solo che prima di essere uccisa dal marito ha urlato. È successo il 17 febbraio 2025.
Anna Villani aveva 60 anni e viveva a Montepiano, nel comune di Vernio, in provincia di Prato. Aveva due figli ed era separata. Viveva con uno dei due figli, ventitreenne, con problemi di salute mentale. Lavorava nelle pulizie e svolgeva una vita semplice, dedita alla cura del figlio. È stata uccisa con cinquanta coltellate da lui, nella notte del 25 febbraio 2025. Il giovane è stato trasferito in una REMS. Le donne muoiono per il loro ruolo di cura.
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Ricorda il mio nome è un podcast mensile, lo trovi su Spotify, Apple Music, Amazon Music e YouTube. L’ultimo episodio è uscito il 15 febbraio 2025, e racconta il femminicidio di Veronica Abbate. Se ti piace il nostro lavoro, puoi parlarne, condividerlo sui social e lasciare una recensione sulla piattaforma che usi.
Chi siamo
Anna Bardazzi è nata a Prato e dopo più di dieci anni all’estero oggi vive a Milano. È autrice e copy writer e ha pubblicato il romanzo La felicità non va interrotta (Salani).
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Roberta Sandri è avvocata con studio a Trento, si occupa principalmente di diritto di famiglia, dei minori e della persona. Ha una specializzazione in Scienze Criminali ottenuta presso l’Università Montesquieu di Bordeaux.
Su Instagram è @avvocata.di.famiglia