Tipologie di omicidio, definizione di consenso e donne di serie B
A che punto siamo con la definizione giuridica di consenso, le diverse tipologie giuridiche di omicidio e perché alcuni femminicidi fanno meno clamore.
Il consenso nell’ordinamento italiano e internazionale
Nei giorni scorsi ha fatto molto scalpore il fatto che dalla Direttiva del Consiglio e del Parlamento Europeo sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica sia stato eliminato l’art. 5 che conteneva il cd. principio del consenso.
L’Articolo della proposta che era stata presentata era il seguente:
art. 5 Stupro
1. Gli Stati membri provvedono affinché siano punite come reato le condotte intenzionali seguenti: (a) compiere atti non consensuali di penetrazione vaginale, anale o orale di natura sessuale su una donna, con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto; (b) indurre una donna a compiere con un terzo atti non consensuali di penetrazione vaginale, anale o orale di natura sessuale, con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto.
2. Gli Stati membri provvedono affinché per "atto non consensuale" sia inteso l'atto compiuto senza il consenso volontario della donna o senza che la donna sia in grado di esprimere una libera volontà a causa delle sue condizioni fisiche o mentali, sfruttandone l'incapacità di esprimere una libera volontà in quanto incosciente, ebbra, addormentata, malata, fisicamente lesa o disabile.
3. Il consenso deve poter essere revocato in qualsiasi momento nel corso dell'atto. L'assenza di consenso non può essere contestata sulla sola base del silenzio della donna, dell'assenza di resistenza verbale o fisica o del suo comportamento sessuale passato.
Gli Stati non hanno trovato un punto di incontro su questa norma, che peraltro ricalca la definizione di stupro come “rapporto sessuale senza consenso” di cui alla Convenzione di Istanbul del 2011, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza. In particolare, la Convenzione – ratificata dall’Italia nel 2013 e dall’Unione Europea nel 2023 – all’articolo 36 si riferisce allo stupro come a un “rapporto sessuale realizzato senza consenso”, specificando al paragrafo 2 che “il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona”.
In Italia
Nell’ordinamento italiano, come spieghiamo nella puntata di oggi dedicata al femminicidio di Andreea Cristina Zamfir, non vi è una definizione di consenso.
In Europa esistono tre diversi modelli giuridici con riferimento al reato di stupro, che variano in base all’importanza attribuita al consenso: il “modello consensuale puro”, per il quale è reato qualsiasi tipo di atto sessuale nel quale manchi il consenso valido della persona offesa. Il “modello consensuale limitato”, che considera reato qualsiasi atto sessuale rispetto al quale la vittima abbia manifestato un chiaro dissenso. E, infine, il “modello vincolato”, che ritiene violenti solo gli atti sessuali nei quali ricorrano i vincoli della costrizione, della violenza e della minaccia.
In Italia, a rigore, è vigente l’ultimo modello, posto che l’art. 609bis del codice penale punisce, letteralmente “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”.
È stata poi la giurisprudenza a precisare via via cosa sia uno stupro, e chiaramente questo segue la società e la diversa sensibilità che si crea sul punto.
Attualmente secondo la Corte di Cassazione "integra l'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona. (Fattispecie in tema di atti sessuali realizzati nei confronti di una persona dormiente).
Ancora, si è affermato che "non è ravvisabile un qualche indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella sua sfera di intimità sessuale, dovendosi al contrario ritenere che tale dissenso sia da presumersi e che pertanto sia necessaria, ai fini dell'esclusione dell'offensività della condotta, una manifestazione di consenso del soggetto passivo che quand'anche non espresso, presenti segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita (Cassazione penale n. 49597 del 09/03/2016)".
Non solo, secondo la Cassazione il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all'art. 609-bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga in itinere una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà.
Se pensate che fino al 1981 era previsto il cd. il matrimonio riparatore (era l’art 544 cp e prevedeva l’estinzione della pena per la violenza sessuale, se era seguita dalle nozze. È chiaro però che a quei tempi l’onorabilità era così importante per le famiglie che la vittima non era libera di dire di no, almeno fino alla grandissima ribellione di Franca Viola, che era però pur sempre appoggiata dal padre) e che solamente nel 1996 lo stupro da reato "contro la morale" è stato riconosciuto in Italia come un reato "contro la persona", capite che il concetto di consenso ha fatto passi da gigante.
A questo proposito, ci è arrivata questa domanda:
“sono legittime le domande fatte alla parte offesa del processo a carico di Grillo e degli altri imputati”?
Il comma 3-bis dell’art. 472 del codice di procedura penale, aggiunto solo nel 1996, prevede che “Il dibattimento relativo ai delitti previsti dagli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter e 609-octies del codice penale si svolge a porte aperte; tuttavia, la persona offesa può chiedere che si proceda a porte chiuse anche solo per una parte di esso. Si procede sempre a porte chiuse quando la parte offesa è minorenne. In tali procedimenti non sono ammesse domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto.
Proprio alla luce del fondamentale tema del consenso, il diritto di difesa comporta che, al di fuori quindi delle domande sulla vita privata e sulla sessualità della persona offesa, sono consentite le domande “necessarie alla ricostruzione del fatto”, e quindi a comprendere se fosse stato manifestato il consenso (e, aggiungiamo, se fosse stato manifestato per l’intera durata dei fatti, o solo per una persona, o ancora solo fino a un certo punto).
Purtroppo su questo bisogna lavorare ancora molto: siamo ancora ai livelli per cui se una donna non urla, non si dibatte, non si dispera, allora è consenziente.
In realtà, la scienza ci dice che nella maggior parte dei casi, quando inizia a subire un abuso sessuale una donna si immobilizza, un comportamento che viene definito freezing, cioè “congelamento”. Questo dettagliato articolo di Domani spiega che se siamo attaccati da un predatore il terrore ci impedisce di pensare in maniera lucida. Così, una donna che viene attaccata sessualmente, travolta dalla paura, all’inizio riesce solo a mettere in atto comportamenti di difesa che possono sembrare illogici e irrazionali, come dire all’assalitore: «Scusami, ora devo andare a casa», oppure «E se poi la tua ragazza lo scopre?». E molto spesso una donna vittima di un assalto sessuale si guarda bene dal dire «No, non farlo» perché ha il terrore che questa risposta scateni ancora di più la furia dell’aggressore.
Quasi la metà delle donne che hanno subito una violenza sessuale racconta: «Ho avuto paura che mi facesse molto male o che mi uccidesse. Mi sono immobilizzata e non sono più riuscita a fare nulla». Questa risposta si chiama “immobilità tonica”: il cervello si annebbia, il corpo si irrigidisce, si è incapaci di muoversi, di parlare e di urlare.
Un’altra risposta è la cosiddetta immobilità collassata: alcune donne vittime di violenza sessuale perdono completamente il tono muscolare, e raccontano che si sono sentite «come una bambola di pezza» mentre l’assalitore faceva di loro quel che voleva.
È quindi evidente che si tratta, per lo più, di domande inutili (ovviamente per quanto è dato a sapere, posto che il processo si svolge a porte chiuse), perché anche non reagire, anche essere inermi, non urlare, non allontanarsi è normale, è una reazione fisiologica. Questo deve essere assolutamente recepito non solo dai giudici, ma da tutti: eh ma li ha seguiti, eh ma poi è andata a ballare, eh ma non l’ha detto a nessuno NON SONO COMMENTI AMMISSIBILI.
Le diverse tipologie giuridiche di omicidio
Nella sentenza relativa al femminicidio di Andrea Cristina Zamfir, si dibatte molto se si tratti di omicidio doloso, colposo o preterintenzionale.
Nell’omicidio doloso (anche detto “volontario”), disciplinato dall’art. 575 del codice penale, l’autore agisce con dolo, cioè avendo come obiettivo la morte della persona offesa.
Nell’omicidio preterintenzionale disciplinato dall’art. 584 del codice penale, invece, l’autore provoca la morte di una persona senza avere la volontà di ucciderla, ma solo di percuoterla o provocarle lesioni (praeter intentionem, cioè oltre l'intenzione).
Nell'omicidio colposo disciplinato dall’art. 584 del codice penale, infine, la morte è conseguenza non voluta di una condotta negligente, imprudente o inesperta, oppure inosservante di leggi, regolamenti, ordini o discipline (ad esempio a causa di colpa medica, o per violazione del Codice della Strada o anche per violazione delle leggi sulla sicurezza sul lavoro).
Sembra semplice, ma ci sono moltissimi casi in cui si dibatte a lungo (ovviamente le pene sono molto diverse): uno di questi è l’omicidio di Cristina Zamfir. La difesa sosteneva infatti la tesi dell’omicidio colposo (non voleva la sua morte, ma è stato “solo” incauto o negligente a lasciarla lì nella convinzione, erronea, che si sarebbe liberata o che qualcuno l’avrebbe soccorsa). Al limite, poteva essere omicidio preterintenzionale: non voleva causarle la morte, ma “solo” provocarle lesioni).
Il Giudice di primo grado, con una valutazione poi confermata in tutti i gradi di giudizio, ha ritenuto invece fosse omicidio volontario nella forma del cd “dolo eventuale”: ci sono interi manuali sul dolo eventuale, che non è semplice da definire. Semplificando, si può dire che si tratta di “accettazione del rischio” della verificazione dell’evento; o, come dice il Giudice della sentenza Zamfir, di aver accettato la scommessa, come una sorta di roulette russa. Poteva sperare che non accadesse, ma in totale spregio della vita umana, ha accettato il rischio della morte della vittima.
Il femminicidio di sex worker e donne con background migratorio
Secondo l’Osservatorio Diritti, nel 2021 è stata denunciata una violenza sessuale ogni 131 minuti, per un totale di 11 al giorno. Quando si tratta di sex worker, però, il fenomeno è assai più difficile da analizzare, perché molte delle donne abusate non denunciano. Oltre al motivo che accomuna molte delle vittime di violenza sessuale - non denunciare per la paura di non essere credute e per il timore di dover rivivere il trauma - le lavoratrici del sesso sanno che il loro mestiere, nel pensiero comune ma molte volte anche presso le forze dell’ordine e nei tribunali, toglie valore al vissuto e gravità al danno subito. Prostituirsi, in poche parole, significa accettare quello che il cliente sceglie. Significa dare un consenso preventivo - come dice Riccardo Viti, l’autore del femminicidio di Andreea Cristina Zamfir, condannato per violenza sessuale anche nei confronti di altre cinque sex worker.
I giudici del caso Viti hanno dato valore alla parola delle donne da lui abusate, ma non è così scontato che accada. Recentemente, per esempio, un tribunale ha dato torto a una donna che aveva denunciato il proprio “protettore” che, stando alla denuncia, la obbligava a prostituirsi e usava violenza contro di lei. Secondo i giudici, infatti, la donna avrebbe potuto fare un altro lavoro, per esempio la parrucchiera, anziché scegliere di lavorare come prostituta. In pratica, viene da dire, “se l’è cercata”.
È importante però cambiare la narrazione e provare a comprendere il mondo del sex work iniziando a schierarsi dalla parte delle donne e di tutte quelle persone che si trovano a prostituirsi o a essere prostituite (cioè costrette da qualcuno), e ovviamente anche dalla parte di chi sceglie questo lavoro liberamente. Una buona parte delle donne impiegate nel sex work raramente però ha una scelta. Anche quando non c’è qualcuno che le obbliga, la prostituzione è l’unica alternativa che si trovano di fronte, come nel caso di Andreea Cristina Zamfir. Questo è importante non tanto per fare esercizio di compassione, ma per comprendere che a rischio violenza, e quindi femminicidio, sono le categorie più marginalizzate, e le sex worker vi rientrano senza dubbio. Se poi sommiamo al fatto di essere donne, povere, esposte a sconosciuti senza riparo alcuno (lavorano per strada) anche quello di essere straniere, magari senza documenti in regola, il fattore di rischio aumenta notevolmente.
Tutte le donne sono a rischio, ma le donne con background migratorio, povere e prostitute o prostituite lo sono ancora di più.
Inoltre, quello del sex work in strada - anche per la sua pericolosità - è un lavoro dove si trovano sempre più persone straniere e sempre meno italiane. A uccidere le donne prostitute o prostituite non sono soltanto i clienti, come nel caso di Riccardo Viti, ma più di frequente sono gli uomini che gestiscono il traffico del sex work, gli stessi che spesso ne abusano con regolarità. Molte volte si tratta di femminicidi maturati all’interno di faide per accaparrarsi i territori, da guadagnare con avvertimenti, punizioni e morti.
Sebbene i femminicidi di sex worker non sembrino numerosi e siano in decremento - nel 2018 i femminicidi sono stati in totale 142, il numero più alto di sempre, quelli di sex worker 8 - continuano a compiersi nel silenzio più assoluto perché le vittime sono donne che si fanno pagare per prestazioni sessuali.
Il sesso è considerato dalla teorica femminista e sociologa Giovanna Franca Dalla Costa il principale lavoro domestico che ogni donna, in nome dell’amore, è tenuta a svolgere.
Il lavoro domestico di una donna nei confronti del marito è dovuto e non prevede compenso. Per questo chiedere del denaro per sesso è qualcosa che viene considerato riprovevole (Un lavoro d’amore, Giovanna Franca Dalla Costa, Edizioni delle Donne).
Una donna prostituta che viene uccisa è una che, per tornare all’inizio, se l’è cercata.
Per capire meglio il fenomeno delle donne con background migratorio prostituite in Italia, può essere d’aiuto ascoltare Storia del mio nome, un podcast che racconta la storia di una bambina la cui madre, costretta a prostituirsi, sceglie di affidarla a un’altra donna affinché possa avere un futuro.
Sindrome Italia o la depressione delle badanti
Ascolta qui:
Letture consigliate:
Quando tornerò di Marco Balzano
Sindrome Italia di Tiziana Francesca Vaccaro ed Elena Mistrello
Ricordiamo Andreea Cristina Zamfir.
Il podcast
Ricorda il mio nome è un podcast mensile, lo trovi su Spotify, Apple Music, Amazon Music e Google Podcasts. L’ultimo episodio è uscito oggi, 15 febbraio 2024, e racconta la storia di Andreea Cristina Zamfir e delle altre cinque sex worker abusate da Riccardo Viti. Il prossimo episodio uscirà il 15 marzo 2024 sulle stesse piattaforme. Se ti piace il nostro lavoro, puoi parlarne, condividerlo sui social e lasciare una recensione sulla piattaforma che usi.
Chi siamo
Anna Bardazzi è nata a Prato e dopo più di dieci anni all’estero oggi vive a Milano. È autrice e copy writer e ha pubblicato il romanzo La felicità non va interrotta (Salani).
Roberta Sandri è avvocata con studio a Trento, si occupa principalmente di diritto di famiglia, dei minori e della persona, svolgendo anche la funzione di curatore speciale del minore e coordinatore genitoriale. Ha una specializzazione in Criminologia ottenuta presso l’Università Montesquieu di Bordeaux.