Chi sono le vittime di violenza domestica, e cosa fare
La storia di Roua Nabi: riconoscersi come vittime di violenza economica, psicologica o fisica, il Codice Rosso e la sua applicazione. La differenza tra connivenza e concorso.
La storia di Roua Nabi
Ha fatto molto discutere la storia del femminicidio di Roua Nabi, trentacinquenne uccisa davanti ai figli adolescenti il 24 settembre 2024. Ha fatto così discutere che è arrivata persino in Parlamento. Il motivo è presto detto: Roua Nabi è stata uccisa dall’ex marito mentre indossava il braccialetto elettronico.
Ma non è questo il motivo, probabilmente: il motivo per cui questo femminicidio è arrivato alla politica nazionale è che l’autore è un cittadino tunisino, come lo era Roua Nabi. I due si erano conosciuti diversi anni fa nel loro paese di origine e poi si erano trasferiti in Italia, a Torino, dove vivevano da molti anni. Avevano insieme due figli: una ragazzina di 12 anni e un ragazzino di 13. Insomma, i femminicidi sono compiuti per lo più da uomini di origine, nascita e cultura italiana ma fanno discutere solo quando gli autori hanno un background migratorio. Ne avevamo già parlato qui.
Ma procediamo con ordine. I due si erano separati da un paio d’anni, dopo una storia di violenze, praticamente da sempre, subite da Roua. Lei lo aveva anche denunciato, e l’uomo era finito in galera. Per questo, con l’attivazione del Codice Rosso, era obbligato a indossare un braccialetto elettronico. Negli ultimi tempi, però, l’ex marito frequentava assiduamente la casa in cui viveva la donna coi figli, tanto che i vicini sentivano le loro liti ogni giorno. Nonostante, quindi, Roua Nabi provasse a perdonare l’ex, le cose non miglioravano.
Dipendenza affettiva e violenza
Per scrivere l’episodio uscito oggi, ho letto il libro Di troppo amore della psicologa Ameya Gabriella Canovi. Il testo approfondisce le radici della dipendenza affettiva, che mi sembrava, mentre scrivevo la storia di Mariella Anastasi, ritornare continuamente. Mariella Anastasi era indubbiamente dipendente dal marito, e non soltanto economicamente (quella è una conseguenza, molto spesso le donne abusate non possono lavorare) ma soprattutto psicologicamente e quindi affettivamente. E perciò sapevo che chiunque si sarebbe chiestə: ma perché Mariella non ha denunciato il marito?
Credo che la spiegazione che Canovi dà sia piuttosto calzante anche per Roua Nabi:
In un dipendente affettivo, gli aspetti masochistici riguardano per lo più le relazioni in cui c’è tendenza a essere abusati e a rimanere intrappolati in dinamiche disfunzionali violente per paura della solitudine, dell’abbandono, oppure per incapacità di interrompere o funzionare fuori da un rapporto, per quando traumatico possa essere.
Aggiunge:
Il dipendente affettivo è intrappolato come in un’ipnosi, è convinto di non meritare amore, si sente incompleto e difettoso, quindi ingaggia una lotta con l’altro nella speranza di poter aggiustare sé stesso, resta sotto questo incantesimo invischiato nella condizione per cui sarà salvato solo se l’altro lo vorrà, lo sceglierà, lo amerà.
Non è possibile, quindi, giudicare in nessun modo una persona che non se ne va, che non denuncia, che subisce abusi e violenze. “Perché non ha denunciato”, “perché non se n’è andata”, sono frasi che non tengono conto non soltanto della dipendenza affettiva, ma anche dei mezzi effettivi delle persone.
Ci sono persone che vivono isolate, che non hanno una rete di supporto, ci sono persone che non lavorano, ci sono persone che hanno paura, ci sono persone che, dopo aver denunciato, sono obbligate a lasciare la propria casa per rifugiarsi in un luogo sicuro, magari con bambinə o adolescenti sdradicatə dai loro luoghi e dalle loro abitudini. Ci sono persone che si dicono: macché, sto esagerando, a me non potrebbe succedere mai.
Convincere una persona a denunciare - e poi a tenere il punto - non è la soluzione. Fare rete è la soluzione. Quando si sospetta che una donna sia vittima di una qualsiasi violenza (anche “soltanto” economica o psicologica) stiamole accanto. Andiamo a trovarla. Chiamiamola. Facciamo in modo di essere presenti e seminiamo consapevolezza. Non dobbiamo dirci che bisogna rispettare la privacy. In questi casi non c’è privacy.
Misure come il Codice Rosso servono solo relativamente, o meglio: dovrebbero essere deterrenti e, soprattutto, l’ultima spiaggia, quando la situazione è così rischiosa da non poter fare altro. Ma se queste donne restano sole, e se questi uomini non cambiano, non servirà a molto.
Roua Nabi è morta perché aveva sposato un violento, ma è morta anche perché era sola. Le persone che le vivevano accanto sapevano delle liti, delle denunce, continuavano a sentire lei e l’ex urlare continuamente. Nessunə le ha teso la mano.
Chiudo con questo passaggio preso da un quotidiano online:
Come detto, Nabi Roua quell’uomo (che in passato era già stato violento, al punto da venire da lei denunciato e che quest’estate era andato anche in galera) lo aveva perdonato. Anche se a giudicare da alcuni messaggi che la 35enne tunisina postava sui social, qualche dubbio viene. Si perché si va da post come quello precedente, a messaggi come questo: «Correre dietro ai documenti del tribunale richiede impegno e tempo. Buongiorno e così sia». E poi ancora: «Perdonatemi, per favore, i miei figli mangiano, dormono tutta la settimana. E c'è qualcuno come loro? Chi nella mia stessa situazione?». La donna alternava, nei messaggi, momenti in cui perdonava effettivamente l'ex marito a momenti in cui, invece, avrebbe forse voluto rifarsi una vita per conto suo. Insomma, era come se non volesse o non riuscisse a staccarsi da quell'uomo. Quasi come se ci fosse una sorta di “dipendenza” verso un uomo che pure l’aveva maltrattata e anche percossa.
Così è come viene raccontato il femminicidio di una donna. Da qualche parte colpevole di non essersene andata lontano da lui.
Cosa fare se si è vittime di violenza
Se siete vittime di violenza, è necessario innanzitutto che impariate a riconoscerla. Violenza può essere verbale, economica, psicologica, fisica. Se il vostro compagno vi offende, se vi minaccia, se vi ricatta, se vi denigra e vi umilia: è violenza.
Se non vi è permesso lavorare, se siete obbligate a fare un part time, se pretende che i vostri soldi vengano usati in comune nonostante guadagniate molto meno di lui, se voi non sapete quando guadagna ma lui sì, se vi controlla le spese, se vi giudica per quello che spendete: questa è violenza.
Se urla spesso, se sbatte le porte, se prende a pugni le pareti, se lancia oggetti: questa è violenza.
Se vi impedisce di vedere amiche e amici, familiari, di uscire in generale, se denigra i vostri interessi, se vi dice che il vostro unico ruolo è quello di madre e moglie, se vi sgrida perché non è pronta la cena o perché la casa fa schifo, se vi dice che siete grasse, che siete brutte, che siete vecchie: questa è violenza.
Se vi isola dal mondo, se vi controlla il cellulare, se vi impedisce di postare determinate cose, se vi chiede chi è la persona che vi ha commentato, se pretende di avere gli accessi ai vostri account, se vi chiede di togliere qualcosa che avete postato: questa è violenza.
Parlatene con qualcunə di cui vi fidate. Anche se vi vergognate e avete paura, non siete sole. Rivolgetevi al Centro Anti Violenza più vicino a voi oppure chiamate il 1522: troverete delle persone che sapranno aiutarvi, senza alcun giudizio.
Il codice rosso
Codice rosso è il nome che comunemente si dà alla legge 69/2019 che è intervenuta con modifiche sia al codice penale che al codice di procedura penale per rafforzare la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
Con l'espressione violenza di genere si indicano tutte quelle forme di violenza che riguardano persone discriminate in base al genere: potrà essere violenza psicologica, fisica, sessuale, stalking fino al femminicidio.
La prima novità del Codice Rosso è stata la previsione di un procedimento accelerato per arrivare il prima possibile alla protezione della vittima: ora la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, riferisce immediatamente al pubblico ministero, anche in forma orale.
Il pubblico ministero, per i delitti di violenza domestica o di genere, deve assumere entro tre giorni informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato.
È stata modificata la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, prevedendo procedure di controllo attraverso mezzi elettronici come il braccialetto elettronico. Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi viene ricompreso tra quelli che permettono l’applicazione di misure di prevenzione.
Il Codice Rosso ha aggravato la pena di alcuni reati ed esteso il termine per proporre querela per il reato di violenza sessuale (portato da 6 a 12 mesi).
Ha previsto poi 4 nuove tipologie di reato:
il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (cd. revenge porn), punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5mila a 15mila euro.
il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, sanzionato con la reclusione da otto a 14 anni. Quando, per effetto del delitto in questione, si provoca la morte della vittima, la pena è l’ergastolo;
il reato di costrizione o induzione al matrimonio, punito con la reclusione da uno a cinque anni. La fattispecie è aggravata quando il reato è commesso a danno di minori e si procede anche quando il fatto è commesso all’estero da o in danno di un cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia;
la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, sanzionato con la detenzione da sei mesi a tre anni.
Infine, le vittime hanno accesso al patrocinio a spese dello stato indipendentemente dal reddito quando si proceda per maltrattamenti in famiglia, pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, violenza sessuale, atti persecutori, nonché, ove commessi in danno di minori, per i reati di riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi, corruzione di minorenne, adescamento di minorenni.
Correità, coimputati, concorso nel reato, connivenza: cerchiamo di fare chiarezza
L’episodio di Mariella Anastasi ha tantissime implicazioni giuridiche, alcune sono tra le più complesse in cui ci si possa imbattere all’esame di diritto penale (o come avvocati, ovviamente). Difficile cercare di dare informazioni senza entrare troppo nel tecnico, ma proviamoci.
Correità o concorso nel reato indicano la medesima situazione: due o più persone sono chiamate a rispondere del medesimo reato.
Alcune situazioni sono semplici ed ovvie, come quando l’azione materiale è commessa ugualmente dai soggetti cooperanti (cd. correi): ad esempio tre ladri si introducono in una casa e tutti e tre si impossessano di beni altrui.
Spesso però vi è una cooperazione diversificata tra i concorrenti, che solitamente si dividono i compiti realizzando ciascuno una diversa azione.
È il classico caso di una rapina in banca, dove ci sarà la mente, che studia il piano e le criticità, chi farà da palo, chi guiderà l’auto e chi materialmente entrerà nella banca.
Anche se solo gli esecutori materiali – nel caso specifico chi entrerà in banca – pongono in essere un’azione conforme a quella prevista dal codice penale per il reato di rapina (art. 628 c.p.: chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene), mentre gli altri correi realizzeranno delle condotte che di per sé valutate potrebbero addirittura essere astrattamente lecite (ad esempio il conducente dell’autovettura), tutti quanti risponderanno per il reato di rapina.
Secondo l’art. 110 del codice penale, infatti, quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse è soggetta alla pena per questo stabilita.
Viene quindi considerata punibile per il medesimo titolo (e, sostanzialmente, con la medesima pena) qualunque condotta abbia apportato un qualunque contributo alla realizzazione del fatto-reato concretamente verificatosi.
Non si distingue tra le varie figure dei concorrenti né tra le varie condotte poiché è responsabile a pieno titolo chiunque abbia contribuito alla realizzazione del reato.
Tuttavia, ai fini della graduazione della responsabilità tra i singoli soggetti la legge prevede che la pena per i singoli soggetti concorrenti può essere calibrata e graduata alla luce del ruolo effettivamente ricoperto durante l’esecuzione del reato.
L’art. 114 comma 1 c.p. stabilisce infatti che il giudice, qualora ritenga che l’opera prestata da taluna delle persone che sono concorse nel reato abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato, può diminuire la pena.
La partecipazione di più soggetti alla realizzazione di un reato può avvenire o nella fase ideativa (concorso morale) o nella fase esecutiva del reato (concorso materiale). Se però l’aiuto interviene solo dopo la commissione del reato il soggetto non risponderà di concorso nel reato ma di favoreggiamento.
Nel concorso morale il contributo del partecipe concorrente si risolve in un impulso psicologico al reato materialmente come commesso da altri. Il soggetto potrà essere determinatore (colui che fa sorgere in altri un proposito criminoso prima inesistente) o istigatore (colui che rafforza il soggetto che agirà materialmente e, quindi, potenzierà un proposito criminoso già esistente nei progetti dell’autore).
La connivenza
Da tali figure deve essere distinta la semplice connivenza che ricorre quando un individuo assiste passivamente alla perpetrazione di un reato che avrebbe la possibilità – ma non l’obbligo – di impedire. Nell’ordinamento italiano, infatti, il soggetto che non interviene può essere punito solo nel caso in cui gravi su di lui un obbligo giuridico di impedire l’evento: ciò è quanto avviene, per esempio, per i pubblici ufficiali.
L’articolo 40 del codice penale stabilisce, infatti, che nessuno può essere punito per un reato, se l’evento non è conseguenza della sua azione od omissione. Al secondo comma, però, la norma dice che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo: questo vale solo in riferimento a quei soggetti che rivestono la cosiddetta “posizione di garanzia”.
La questione della posizione di garanzia, però, è tra le più complesse: non si parla solo di polizia, infatti, ma di chiunque abbia un obbligo giuridico di intervenire, e non c’è un articolo di legge che spiega nel dettaglio le varie casistiche. I genitori, ad esempio, hanno una posizione di garanzia sui figli, le maestre sugli alunni, i bagnini sui bagnanti ecc. Per far capire quanto è complessa la questione considerate che proprio su questo articolo si è basata - dopo lunghissime discussioni e diverse sentenze anche contraddittorie - la condanna degli imputati nel caso di Marco Vannini: il motivo per il quale le condotte degli imputati hanno integrato il reato di omicidio mediante omissione e non di omissione di soccorso sta nel fatto che Antonio Ciontoli e la sua famiglia violarono «un obbligo di intervento qualitativamente diverso dal mero obbligo di soccorso ed espressivo di una posizione di garanzia» in forza di un’assunzione de facto delle cure del ferito.
Ipotizzando, quindi, che non vi sia questa posizione di garanzia, non intervenire non è una condotta punibile. Il confine con la correità come sopra descritta (quindi anche solo nella forma di concorso morale) è però sottile. Secondo la giurisprudenza, si ha connivenza non punibile solo quando ci sia stata una condotta totalmente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel caso in cui si offra un consapevole apporto, anche solo ideale, all'altrui condotta criminosa, in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente.
Il caso di oggi dà un’idea di quanto sia complessa e sottile la distinzione.
Ricorda il mio nome è un podcast mensile, lo trovi su Spotify, Apple Music, Amazon Music e YouTube. L’ultimo episodio è uscito oggi, 15 ottobre 2024, e racconta la storia di Mariella Anastasi, uccisa dal marito mentre era incinta di 9 mesi. Il prossimo episodio uscirà il 15 novembre 2024 sulle stesse piattaforme. Se ti piace il nostro lavoro, puoi parlarne, condividerlo sui social e lasciare una recensione sulla piattaforma che usi.
Chi siamo
Anna Bardazzi è nata a Prato e dopo più di dieci anni all’estero oggi vive a Milano. È autrice e copy writer e ha pubblicato il romanzo La felicità non va interrotta (Salani).
Su Instagram è @bardazzi.anna
Roberta Sandri è avvocata con studio a Trento, si occupa principalmente di diritto di famiglia, dei minori e della persona. Ha una specializzazione in Scienze Criminali ottenuta presso l’Università Montesquieu di Bordeaux.
Su Instagram è @avvocata.di.famiglia
"La privacy non va rispettata", me lo ricorderò bene.