Impagnatiello, Barreca e Turetta: la salute mentale in tribunale
Come viene usata la perizia psichiatrica nei casi di femminicidio
Come ripetiamo da un anno all’interno del podcast, la difesa degli uomini accusati di femminicidio richiede di prassi una perizia psichiatrica, quando non è già disposta dal giudice. La perizia psichiatrica, in ambito giuridico, serve a determinare se la persona accusata di uno o più reati fosse capace di intendere e di volere al momento dei fatti. In caso di incapacità, infatti, non sarebbe imputabile, cioè non potrebbe essere punita, come prevede l’art. 85 del codice di procedura penale.
Il vizio di mente può essere totale, e quindi non ci sarebbe alcuna pena, oppure tale da compromettere solo parzialmente la capacità. In caso di vizio parziale, l’imputato può ottenere una riduzione della pena.
L’espressione "capacità di intendere e di volere" indica che l'imputabilità comprende entrambe le attitudini, ovvero sia quella di intendere sia quella di volere, di conseguenza un soggetto può dirsi non imputabile quando, essendo presente l'una, manchi l'altra e viceversa.
Innanzitutto, dunque, la capacità di intendere va intesa come attitudine del soggetto a percepire il significato del proprio comportamento, a comprendere il valore delle sue azioni all'interno del contesto sociale di riferimento.
In secondo luogo, la capacità di volere, viene interpretata come il potere di controllo sui propri impulsi e stimoli.
La capacità di intendere e di volere viene presunta dalla legge con il compimento del diciottesimo anno di età.
La capacità di intendere e di volere, che esclude l’imputabilità, non va confusa con l’idoneità del soggetto a partecipare coscientemente al processo. Questa è disciplinata da una norma distinta, l’art. 70 del codice di procedura penale, e prevede che quando vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale l'imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone, anche di ufficio, perizia. Se, a seguito degli accertamenti risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è reversibile, il giudice dispone con ordinanza che il procedimento sia sospeso. Se invece risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l'eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere. In ogni caso in cui lo stato di mente dell'imputato appare tale da renderne necessaria la cura nell'ambito del servizio psichiatrico, il giudice informa con il mezzo più rapido l'autorità competente per l'adozione delle misure previste dalle leggi sul trattamento sanitario per malattie mentali.
A livello giuridico, ci sono limiti piuttosto stringenti all’ammissibilità di una perizia, che può essere concessa solamente in presenza di elementi indiziari seri.
Da un lato, infatti, l’art. 220 del c.p.p. dispone che: “La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini”; in secondo luogo, l’art. 70 del c.p.p. prevede che: “Quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale, l'imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone, anche di ufficio, perizia.”
Una perizia, quindi, dovrebbe essere concessa in situazioni in cui ci sono dei segnali evidenti: quando la persona ha precedenti psichiatrici, quando delle relazioni fanno sospettare un problema di salute mentale, quando comportamenti particolari prima o durante il reato fanno pensare a una psicosi, o a un altro disturbo temporaneo che ha compromesso la capacità di agire (e di riflettere sull’agire).
Nei casi di femminicidio, però, spesso questi elementi mancano. Uno dei casi più recenti è quello di Alessandro Impagnatiello, accusato di aver ucciso la compagna Giulia Tramontano, incinta del loro bambino. Perché è stata concessa una perizia a un uomo che non aveva mai dato segni di soffrire di disturbi mentali? La difesa dell’uomo aveva fatto richiesta sostenendo che Impagnatiello soffrisse di disturbo ossessivo e paranoico dovuto al suo forte narcisismo.
Ora, sapete, se avete letto una nostra precedente newsletter, che il narcisismo - sia inteso come “tratti narcisistici” che come disturbo di personalità vero e proprio - non solo non giustifica un reato così grave come l’uccisione di una persona, ma è anche piuttosto presente negli autori di femminicidio, per non dire sempre.
I giudici hanno però concesso la perizia, e i periti hanno ritenuto Impagnatiello pienamente capace di intendere e di volere. Per loro bisogna darsi pace e ammettere che
l’essere umano può fare cose drammatiche
e smettere di pensare che
una cosa così la può fare solo una persona mentalmente disturbata
Gli esperti hanno ribadito ancora una volta, perché è ancora necessario ribadirlo, che non bisogna confondere i tratti di personalità narcisistica con una infermità psichiatrica.
Ma perché continuiamo, anche in tribunale, a cercare una giustificazione? Perché continuiamo a isolare il problema di volta in volta, come fossero casi straordinari. Eppure se una donna viene uccisa ogni tre o quattro giorni per gli stessi motivi, come si può pensare che sia un caso isolato?
Ci rassicura pensare che uomini così siano mostri, o che all’improvviso abbiano “perso la testa”. Usare la disabilità mentale per spiegare un femminicidio non è soltanto sbagliato dal punto di vista “tecnico”, ma è anche abilista.
Significa credere che le persone con disturbi mentali possano essere capaci di uccidere chiunque, in qualsiasi momento. E ovviamente, sappiamo che non è così.
Eppure, non rassegnandoci al fatto che il vicino di casa, il barman del locale carino, il tizio che salutava sempre possano essere capaci di uccidere una donna perché non ha fatto ciò che volevano, cerchiamo una motivazione che ci faccia sentire al sicuro. Noi donne, e gli uomini. Soprattutto quelli che, sotto sotto, sanno che la violenza psicologica, il controllo, le umiliazioni, gli scatti d’ira, sono tutte forme di violenza che spesso precedono un femminicidio.
No, i femminicidi non sono compiuti né da pazzi, né da mostri che picchiano per anni: in una marea di nomi esistono sì anche persone abusanti da sempre - basti pensare al marito di Mariella Anastasi, la storia che abbiamo raccontato il 15 ottobre 2024 - ed esistono i malati di mente, ma la maggior parte degli uomini che compiono femminicidio è composta da uomini qualunque, i nostri mariti, i nostri fratelli, i nostri figli, i nostri padri e i nostri amici.
Prima lo capiamo, noi donne e soprattutto, ancora, gli uomini, prima si potranno cambiare le cose.
Turetta: nessuna richiesta di perizia psichiatrica
Filippo Turetta è accusato, reo confesso, di aver ucciso la ex fidanzata, Giulia Cecchettin, l’11 novembre 2023. Il processo è appena iniziato. Sono state diffuse le immagini degli interrogatori in aula.
Fin dall’inizio, andando un po’ più a fondo di quello che veniva riportato, era facile intuire in che direzione sarebbe andato il processo. Filippo Turetta aveva dichiarato di essere consapevole e di essere pronto a scontare la sua pena. La difesa non ha fatto richiesta di perizia psichiatrica, il processo è iniziato.
Il suo difensore gli chiede:
“Perché ha deciso di presentarsi in dibattimento?”
Turetta risponde: “Penso che sia un dovere verso la giustizia ma soprattutto verso Giulia e tutte le persone colpite”.
L’interrogatorio va avanti e si intuisce la strategia della difesa: fargli ottenere le attenuanti, che andrebbero probabilmente a bilanciare le aggravanti e quindi gli eviterebbero l’ergastolo. Tutte le difese provano a ottenere le attenuanti, quasi mai, nei casi di femminicidio, le ottengono.
Questo perché, riportano poi i giudici nelle motivazioni, non c’è nessuna resipiscenza, nessuna vera consapevolezza. Nonostante le lettere di scuse, a volte le lacrime, gli imputati nei casi di femminicidio continuano a essere indifferenti, a scaricare la colpa sulla vittima, a cercare giustificazioni. Non dicono mai: non tolleravo che non mi volesse più, volevo che stesse con me, punto.
Turetta l’ha detto.
Turetta dice anche che la sua idea era di uccidersi, e su questo si è fatta molta polemica. È probabile che Filippo Turetta non volesse uccidersi davvero ma volesse piuttosto, come ha detto in seguito all’avvocato dei Cecchettin, Nicodemo Gentile, punire Giulia per tutta la sofferenza che lui provava. Voleva, dice, che tutti e due stessero male.
Un modo completamente nuovo di raccontare i femminicidi in tribunale, un modo del tutto nuovo di difendersi. Forse Turetta sta solo recitando una parte, forse le lunghe pause e i balbettii significano che non sa bene cosa dire. Ma per la prima volta assistiamo a un cambiamento nel modo in cui un autore di femminicidio racconta quel che ha fatto una cosa aberrante, terribile. Quello che è: un crimine di possesso. Per la prima volta abbiamo una difesa che non punta né a farlo passare per pazzo, né a trovargli scusanti, né a scaricare la colpa su chicchessia.
Gli viene chiesto: ha mai pensato al suo futuro?
Turetta risponde: No, l’unica cosa a cui penso è affrontare questo e provare a espiare la colpa e provare a pagare.
Questo non riporterà Giulia in vita, non darà pace a suo padre, sua sorella, suo fratello e tutti coloro che la amavano. Non ci farà nemmeno sentire al sicuro. Ma almeno forse darà un nome a quello che accade ancora troppo spesso.
Barreca è incapace di stare in giudizio
La stampa ha diffuso che la perizia psichiatrica su Giovanni Barreca, accusato di aver sterminato la sua famiglia ad Altavilla Milicia, Palermo, ha stabilito che l’uomo è incapace di intendere e di volere. Più correttamente, avrà stabilito che non è in grado di partecipare coscientemente al processo, ai sensi degli articoli 70 e ss. che abbiamo citato sopra.
Barreca aveva ucciso la moglie e i figli di 16 e 5 anni con l’aiuto - suppongono gli inquirenti - di una coppia e della figlia maggiore, di 17 anni. Il movente: erano posseduti e stavano compiendo un rito di esorcismo.
L’uomo era in carcere ed è stato subito scarcerato. Sarà inserito in una REMS (residenza per le misure di sicurezza, cioè strutture sanitarie in cui sono accolti autori di reati con problemi di salute mentale). È difficile accettare che un uomo che ha sterminato la famiglia in accordo - pare - con altre due persone e la figlia non fosse lucido. Eppure bisogna accettarlo: la malattia mentale esiste. Ed è una questione di cui lo stato dovrebbe a farsi carico.
I femminicidi dal 1° al 31 ottobre 2024
Maria Arcangela Turturo aveva 60 anni e viveva a Gravina di Puglia. Era madre di due figlie e un figlio, già adulti. Era una donna piena di vita, amava la cucina e passare del tempo con la sua grande famiglia. Il 6/10/2024 suo marito ha dato fuoco all’auto con lei dentro, poi l’ha tirata fuori e l’ha strangolata.
Eleonora Toci aveva 24 anni ed era nata in Albania, ma viveva a San Felice a Cancello, in provincia di Caserta. Era madre di due bambini di 4 e 6 anni. Era una giovane donna sorridente, ma di lei si sa poco. È stata uccisa il 9/10/2024 dal marito, mentre dormiva.
Flavia Mello Agonigi aveva 54 anni ed era di origini brasiliane. Era sposata con un uomo italiano e con lui, per un po’, avevano vissuto in Brasile, per poi fare ritorno in Italia, a Pontedera. Flavia amava tantissimo ballare e uscire con le amiche, e aveva un appuntamento fisso il venerdì sera. Il suo posto preferito era la discoteca Don Carlos di Chiesina Uzzanese, in provincia di Pistoia. Qui è stata vista l’ultima volta, il 12 ottobre 2024, per poi essere ritrovata morta ad alcuni chilometri di distanza. Per il suo femminicidio è indagato un uomo con cui aveva appuntamento quella sera.
Patrizia Russo aveva 61 anni ed era originaria di Agrigento. Da un anno viveva a Solero, in provincia di Alessandria, col marito, e qui lavorava come insegnante di sostegno alle medie. Era madre di due figli. La descrivono come solare, estroversa, molto credente e amata a scuola. È stata accoltellata dal marito il 16/10/2024.
Laura Frosecchi aveva 52 anni e viveva a San Casciano Val di Pesa, in provincia di Firenze. Era titolare del negozio d’alimentari Da Graziella, a Chiesanuova. Era una donna attenta e sempre disponibile, gentile con tutti. Le sue schiacciate erano famose in tutta la zona. È stata uccisa dal nipote 22enne il 17/10/2024.
Celeste Pamlieri aveva 56 anni e viveva a San Severo, in provincia di Foggia. Era madre di cinque figli. Era sempre orgogliosa di loro e glielo ripeteva sempre. Aveva denunciato il marito per maltrattamenti e si stavano separando. Lui indossava il braccialetto elettronico. Nonostante questo, l’ha colta di sorpresa mentre faceva la spesa e le ha sparato, il 18/10/2024.
Carmela Ion aveva 56 anni ed era originaria della Romania. Non aveva fissa dimora ma si trovava a Civitavecchia. Aveva denunciato il compagno per maltrattamenti, lui doveva indossare il braccialetto elettronico. L’ha soffocata il 18/10/2024.
Marina Cavalieri aveva 62 anni e viveva a Medesano, in provincia di Parma. Lavorava come infermiera al centro prelievi della Casa della Salute di Parma Centro. Era una donna dai modi pacati e delicati, sempre gentile. È stata uccisa con un colpo di carabina il 24/10/2024, per la sua morte è indagato il marito, che si era reso irreperibile.
Aurora avrebbe compiuto tra poco 14 anni e frequentava la prima liceo al Colombini di Piacenza. Era una ragazzina minuta, con i tratti e la voce ancora da bambina. Portava le unghie lunghe e decorate e i capelli lunghi, lisci e chiari. Le piaceva usare TikTok. Aveva una relazione con un quindicenne, con cui però si era “lasciata”. Lui era violento, possessivo, controllante. Aurora è caduta dal balcone il 25/10/2024: qualcuno avrebbe visto il ragazzino prima buttarla giù, e poi, dopo che lei era riuscita ad aggrapparsi alla ringhiera, picchiarla sulle mani per farla precipitare.
Sara Centelleghe avrebbe compiuto 19 anni il 9 novembre e studiava al liceo Socio sanitario di Lovere. Viveva con la madre a Costa Volpino (BG). Si stava preparando per l’esame per la patente. Pochi giorni prima di morire aveva fatto la sua prima guida. Sognava di diventare chirurga estetica. Un suo coetaneo l’ha uccisa a coltellate il 26/10/2024.
ll podcast
Ricorda il mio nome è un podcast mensile, lo trovi su Spotify, Apple Music, Amazon Music e YouTube. L’ultimo episodio è uscito il 15 ottobre 2024, e racconta il femminicidio di Maria Anastasi. Il prossimo episodio uscirà il 15 novembre 2024 sulle stesse piattaforme. Se ti piace il nostro lavoro, puoi parlarne, condividerlo sui social e lasciare una recensione sulla piattaforma che usi.
Chi siamo
Anna Bardazzi è nata a Prato e dopo più di dieci anni all’estero oggi vive a Milano. È autrice e copy writer e ha pubblicato il romanzo La felicità non va interrotta (Salani).
Su Instagram è @bardazzi.anna
Roberta Sandri è avvocata con studio a Trento, si occupa principalmente di diritto di famiglia, dei minori e della persona. Ha una specializzazione in Scienze Criminali ottenuta presso l’Università Montesquieu di Bordeaux.
Su Instagram è @avvocata.di.famiglia